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Un film che per certi versi ricorda molto da vicino il teatro di Pinter: sia per il taglio teatrale della sceneggiatura (l’ambientazione è quasi esclusivamente unica), sia per il sapore cinico, grottesco e amaramente ironico che permea l’intreccio. Un’opera di un’intelligenza acuta e penetrante questa di Marco Ferreri, che si conferma affabulatore e cineasta di grande levatura. La storia è quella di quattro uomini che si ritrovano in un casolare con un obiettivo comune: morire di sesso e di cibo. I quattro sono un ristoratore, un pilota di aerei, un produttore televisivo e un magistrato. Una menzione d’onore per tutti e quattro gli attori protagonisti, davvero arduo trovare chi prevalga. A Ferreri non interessa esprimere giudizi morali sul comportamento dei protagonisti nè se la loro impresa possa avere implicazioni sociali tali da celare una denuncia: a Ferreri interessa documentare il lato onirico di questa storia facendolo collidere violentemente con il piano del reale e creando una sorta di alveo intermedio in cui incanalare la narrazione. Un film grottesco, se vogliamo surreale nella sua minuziosa caratterizzazione psicologica dei quattro esseri dionisiaci che sono seduti a tavola, a fronte di una storia in bilico tra dramma e goliardia con una punta di amarezza che screzia tutta la narrazione ed esplode nel finale.

Titolo originale: La Grande Abbuffata

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