Sul crepuscolo di gennaio la truppa di Viaggiatori Lunari si è data appuntamento per il consueto cianciare domenicale sul mondo del cinema. Dopo un’ampia introduzione sui Box Office Italia e USA (a proposito: che meraviglia tornare a parlare di botteghini dopo due anni di pandemia!), Federico e Marco ci hanno trascinato nella terra del Sol Levante per parlarci di due film da non perdere: Asakusa Kid (in streaming ora su Netflix) e Drive My Car (uscito in Italia a settembre e poi rientrato nel circuito distributivo proprio in questo mese).

Asakusa Kid è un film decisamente biografico: parla degli esordi della carriera di Takeshi Kitano e della costruzione del suo mito. Dallo squattrinato giovincello che calcava teatri di infimo ordine portando sulle spalle questa grottesca maschera da comico arringando gli spettatori e provocandone la reazione furente a volte dopo averli coperti di insulti. Il film a firma di Gekidan Hitori sa catturare l’essenza dell’uomo compenetrato all’artista, delle sue irrisolte nevrosi estrinsecate dal famoso tic all’occhio e restituisce un affresco di una freschezza sconvolgente.

Drive My Car è diretto da Ryûsuke Hamaguchi, regista interessante che esce contemporaneamente in Italia con un secondo film (Il Gioco di Destino e Fantasia). Si tratta della riduzione cinematografica dell’omonimo racconto di Haruki Murakami. E’ un film intimista e crepuscolare che focalizza nel linguaggio e segnatamente nell’impatto dialogico la sua attenzione. La storia è quella di Yusuke Kafuku, reduce dal tremendo lutto della perdita della moglie dopo una malattia fulminante. L’uomo, regista e attore teatrale, cerca di riprendersi gettandosi nel lavoro e accettando l’incarico di dirigere uno spettacolo a Hiroshima su Zio Vanja di Anton Cechov. Trasferitosi nella città entra in contatto con la compagnia teatrale e soprattutto con la sua nuova autista che lo accompagna nei suoi viaggi metropolitani. Tra i due si instaura una sorta di legame dialogico che scalfisce la spessa superficie di dolore che li avvolge. A fatica e gradualmente l’uomo e la donna imparano a conoscersi e a varcare con circospezione la soglia dell’Altro-da-sè, dietro il muro quotidiano delle parole. Un lavoro davvero raffinato sul Logos che ha ricordato il magistrale lavoro di Bergman in Persona. Una non-storia che catalizza l’attenzione dello spettatore e lo rende partecipe di questa stupefatta atmosfera di riscoperta delle emozioni in due esseri che sembravano averle sepolte sotto strati di vita vissuta.

Infine il buon Checco, per la rubrica un film da riscoprire, ci parla di Pleasantville, film del ’98 di Gary Ross passato colpevolmente troppo presto nell’oblio e capace di regalare emozioni ad una seconda visione.

Per approfondire tutto questo non vi resta che ascoltarvi le voci dei protagonisti direttamente dal podcast qui di seguito. Buon Ascolto.

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