Dopo i proverbiali cinque secondi di paura, la puntata 16 di Viaggio nella Luna decolla dai blocchi di partenza, come sempre abusando delle ipovedenti ma magniloquenti frequenze di Radio Talpa’Z, che come Daredevil puniscono chi fa il male nei nostri confronti, ovvero quei nefasti geni che ogni volta ce la mettono tutta per sabotare la “trasmissione radiofonica di cinema che vi terrà divanamente incollati since 2013”.

La triade Minguzzi-Filippi-Morosini esordisce con un’imperdibile quanto estemporanea dissezione sui capi d’abbigliamento deputati all’asciugatura del corpo, manifestando peraltro un’idiosincrasia in relazione al nido d’ape e la microfibra, e soprattutto domandandosi quanto sia opportuno l’utilizzo di un accappatoio bagnaticcio sul corpo.

E dopo aver scoperto la correlazione tra Eva Green e la Francia grazie alla rubrica “CCSSiC” (Cose Che Sa Solo il Checco), la ciurma salta finalmente a bordo della Settima Arte cogliendo l’occasione per salutare Lance Reddick, attore scomparso il 17 marzo scorso che ultimamente un po’ tutti hanno avuto modo di vedere, poiché ha vestito i panni dell’irreprensibile quanto compunto concierge dell’Hotel Continental nella tetralogia dedicata a “John Wick”. Ma Reddick non è solo “John Wick”, l’attore, scomparso a 60 anni, ha partecipato a progetti sia cinematografici che televisivi, lo ricordiamo con piacere in “Don’t say a word”, “Paradiso perduto”, e ancora in serie tv come “Lost”, “Fringe”, “American Horror Story” e molto altro.

Dopo il doveroso saluto a Reddick, i tre iniziano una sana reprimenda sull’assegnazione di alcuni degli ultimi Academy Awards, concentrandosi soprattutto sull’ormai famoserrimo “Everything Everywhere all at once” del duo Kwan-Scheinert, impalmato con 7 statuette auree (che peraltro ha resuscitato dal coma cinematografico l’attore Ke Huy Quan, il celebre Data dei Goonies, che non partecipava un film dal 1992), a quanto pare è un film che scricchiola e non poco. Difatti sia l’eterno assente Alessandro Nunziata, che l’onnipresente Checco, hanno entrambi stoppato la visione del film dopo circa 45 minuti, indice che qualcosa non funziona proprio.
Per il nostro Accademico Checco, “Everything Everywhere all at once” è un film che si incarta all’interno di meccanismi un po’ troppo complessi e forse mal spiegati, che producono una torrenziale ondata di noia prevaricante che neanche i combattimenti presenti riescono a mitigare.
Dati i di cui sopra presupposti, la cricca a questo punto si interroga su quella che si può benissimo chiamare “Deriva degli Oscar”, poiché già da tempo si tendono a premiare prodotti della cinematografia non per la loro sostanza, bensì per l’organico di attori che vi hanno partecipato, perché fanno parte di una determinata “minoranza” oppure perché si affronta (male) una determinata tematica in quanto rappresentante un trend bollente al momento per fare cassetta. Meditate, gente, meditate…
Detto questo, VnL non sputazza necessariamente su tutte le ignude statuette auree, difatti approva grandemente uno degli Oscar per migliore attore più telefonati di sempre, ovvero quello insignito a Brendan Fraser per “The Whale”, che negli ultimi anni ha condiviso lo stesso destino di Ke Huy Quan, rischiando di essere dimenticato dal mondo del cinema e, di conseguenza, dal pubblico, che con questo film ha avuto la sua possibilità di rivalsa. In ultimo, sopratutto Federico, fa i complimenti al tanto amato Guillermone del Toro per la Statuetta vinta per il suo “Pinocchio”, un autentico capolavoro in stop-motion che sarebbe stato criminale non premiare.

Accantonati gli Oscar, è Thomas prorompe nei nostri timpani parlandoci di “Educazione Fisica”, opera seconda del regista Stefano Cipani, già autore di “Mio fratello rincorre i dinosauri”, alle prese con una sceneggiatura scritta dai Fratelli D’Innocenzo, due dei registi più interessanti degli ultimi anni per quanto riguarda il panorama italiano, tratta da un’opera teatrale di Giorgio Scianna.
La storia, molto semplicemente, è quella di un gruppo di genitori che vengono convocati, dalla preside della scuola che frequentano i loro figli, a causa di un grave avvenimento che avrebbe coinvolto, appunto, i ragazzi.
Il cast è stellare: da Giovanna Mezzogiorno a Claudio Santamaria, da Sergio Rubini ad Angela Finocchiaro, per questo interessantissimo kammerspiel.
Impossibile non pensare a “Carnage” di Polanski quando gli animi dei protagonisti, nonché bravissimi interpreti, vengono smossi costringendoli a tirare fuori il loro vero io e insinuando nello spettatore il dubbio che, forse, il vero cattivo non è chi urla ma chi silenziosamente se ne sta in disparte, aspettando il proprio turno per fare la mossa che più gli conviene per uscirne vincitore.
Un film che colpisce lo spettatore allo stomaco e lo lascia con un finale per nulla accomodante. Un’ottima pellicola.

Infine, dopo “La domanda dello zio”, che stavolta ci chiede quale sia stata la scena di un film che, vedendola da piccoli, ci è sembrata magica, il Checco incussa con l’imperdibile rubrica “Un classico da rispolverare. Questa volta il nostro Accademico ci parla di “Trappola Mortale” (1982), film di Sidney Lumet con Michael Caine, da sempre attore preferito dal Checco, e Christopher “Superman” Reeve. Anche in questo caso, con “Trappola Mortale” ci troviamo dentro a quello che sembra un altro kammerspiel, nonché versione cinematografica di una pièce teatrale del ’78 ad opera di Ira Levin. Il film narra le diaboliche vicissitudini di Sidney Bruhl (Caine), un drammaturgo in crisi d’ispirazione con un passato fatto di opere di successo. Bruhl incappa nel copione intitolato per l’appunto “Deathtrap” (Trappola Mortale), scritto da Clifford Anderson (Reeve), un suo ex-studente. Dopo averlo letto, Bruhl ritiene di trovarsi davanti ad un’opera perfetta e da qui ha inizio il suo piano nefasto, ovvero quello di appropriarsi del copione facendo fuori il povero Clifford attraverso un piano che di lì a poco attuerà.

Come al solito, tutto questo è molto altro, nella sedicesima delle decima di VnL, buon ascolto.

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