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Affrontare un tema delicato come lo schiavismo in un periodo di forti tensioni razziali può sembrare un azzardo o peggio una mera operazione commerciale. Ma Steve McQueen, regista da sempre impegnato in un cinema sociale dai forti contenuti di denuncia, risolve il nodo narrativo con forza epica ed estro registico campendo un grande documento storico e al contempo uno splendido capitolo di cinema. Tratto dall’omonima autobiografia di Solomon Northup del 1853 narra la storia di Solomon, valente violinista di Saratoga Springs, rapito con l’inganno da due loschi intermediari che lo convincono a seguirli a Washington per un ingaggio musicale. In realtà dopo averlo drogato, lo spogliano di ogni avere e lo rivendono in Louisiana come schiavo. Solomon si ritroverà privato di ogni più elementare diritto, sottratto all’amore dei suoi cari e costretto a lottare ferocemente per conservare l’unico bene rimasto: la vita. Il piccolo universo delle piantagioni di Edwin Epps, il signore sotto cui Solomon deve sottostare, è scandito da regole ferree a cui bisogna conformarsi rapidamente e con solerzia per non essere frustati a morte o puniti con carichi mortali di lavoro. Al centro della scena il motore di ogni cosa è il crudele negriero che giostra i suoi schiavi come carne da macello, sottoponendoli a costanti umiliazioni in nome di una presunta superiorità razziale che concedeva ai bianchi diritto di vita e di morte su altri esseri umani la cui unica colpa era quella di avere un colore della pelle diverso dai propri aguzzini. Solomon, immerso in quel brutale microcosmo, si adatterà ben presto alle sue leggi, in attesa di un’occasione per reclamare il suo status di uomo libero. E l’occasione giungerà con Samuel Bass, abolizionista canadese, che aiuterà Solomon a recuperare il bene più prezioso: la libertà. Splendida la fotografia del veterano Sean Bobbitt che lascia che sia la maestosa luce degli esterni a fluire nell’inquadratura e a dettarne la tavolozza cromatica. Un’opera essenziale nella sua drammaticità, senza retorica nè enfasi McQueen stabilisce un nuovo punto di riferimento per questo genere di cinema. Una scena su tutte colpisce per la sua forza icastica: Solomon è appena stato punito da John Tibeats, il sadico guardiano degli schiavi, ad essere appeso per il collo ad un albero tramite un cappio alla gola. I suoi piedi a stento toccano il terreno scongiurando la morte, e Solomon deve impegnare ogni fibra del proprio essere per cercare di sopravvivere a quell’atroce tortura. Intorno la vita della piantagione scorre placida e gli altri schiavi fingono di non notare la disperata lotta dell’uomo per non morire, per timore di subire la stessa sorte. Un verde attanagliante domina l’inquadratura e sembra trasmettere un’irreale senso di pace che contrasta violentemente con la scena, mentre in sottofondo solo il frinire di grilli e cicale accompagna Solomon nel suo supplizio.

Titolo Originale: 12 Years a Slave

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  1. Anonimo 21 Agosto 2022

    Storia struggente. Veramente ben fatto.

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