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Il primo film di Pasolini segna l’ingresso nella Settima Arte di un uomo dotato di una sensibilità e di un intuito iconografico davvero unici. Un poeta dietro la cinepresa che guarda la realtà con sguardo sociologico, che ama raccontare le storie di un proletariato brulicante di personaggi spontanei e voraci di vita come Accattone. Accattone è una sorta di parassita che vive di piccoli furti, con una compagna che induce a prostituirsi per lui. Quando sarà arrestata si getterà su una seconda donna di cui s’innamorerà. Su tutto l’aura possente di questo personaggio appartenente a una dimensione ctonia, materiale, esperibile, con un’etica certamente distorta ma sempre preferibile alla retorica ipocrita della classe medio-borghese della Roma bene. Un’opera che raccoglie la lezione del neorealismo e mette in scena la vita nei borghi più remoti e luridi così com’è, senza finzione, senza alcun tipo di filtro. Pasolini più di ogni altro riuscì a rappresentare la realtà nella sua crudezza. Certa critica contemporanea criticò aspramente la noncuranza con cui nel film si affrontavano temi religiosi trattati più o meno velatamente da Pasolini come mero contorno, come intercalare dialettico alla sua narrazione: a nostro parere è del tutto fuori luogo parlarne (Accattone non è certamente questo, ne è rilevante la religione in questo film) e anzi, chi lo fece dimostrò in qualche modo di travisare completamente il retaggio semantico dell’opera.

Titolo originale: Accattone

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