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Un film duro e penetrante come un proiettile, terribile nella sua visione pessimistica della realtà, affascinante nel taglio registico che Bresson vi imprime, quasi a squadernare una realtà matrigna attraverso una pioggia di immagini scarnificate, crude, palesemente reali, con una fotografia scarna e cristallina ammantata di un bianco e nero opalescente. Il protagonista di questa storia è un asino di nome Balthazar, dapprima viene allevato da Marie con amore poi venduto dal padre di lei, il suo calvario attraverso una terra ostile, nelle mani di padroni che lo torturano, lo malmenano, annientano la sua essenza di creatura vivente. Breton al suo capolavoro, un’opera leopardiana nella raffigurazione della Natura, ma memore didascalicamente della lezione di certa narrativa russa come Dostoevsky o Gogol. E a proposito di Dostoevsky, pare che Bresson si sia ispirato proprio a lui per il soggetto di questo film leggendo un brano dell’Idiota in cui il Principe Miskin, arrivato a Basilea, viene svegliato la mattina seguente dal ragliare di un asino “che gli schiarisce le idee” e lo rasserena immediatamente. Una scena che riaffiora spesso alla memoria è il battesimo di Balthazar da parte di Marie e suo fratello, i due bambini fanno entrare l’asinello in casa poi gli aspergono il muso con l’acqua della santità e gli fanno assaggiare il sale della saggezza. L’asino sembra gradire più la saggezza.

Titolo originale: Au Hasard Balthazar

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  1. Annalisa 1 Aprile 2021

    Un film duro da vedere. Una pena continua, perché ad ogni scena, quasi, ti aspetti che qualcuno faccia soffrire il povero Balthasar. Un film fatto di inquadrature che si susseguono veloci, senza commenti da parte del regista. Un film di porte, strette, aperte, chiuse, spiragli di vita che vi si aggirano, come in un labirinto, e di occhi, di volti che si guardano, e con lo sguardo dicono tutto ciò che c'è da dire, raramente di tenerezza, molto di sofferenza, di durezza, di vizio, sia esso l'avarizia che la violenza. E al di sopra di tutto gli occhi di Balthasar, che nulla hanno del giudice, di chi osserva lo sfacelo della umana perversione e incapacità....ma sono solo dolci, di una dolcezza e di un silenzio che disarmano. Persino la morte è dolce, senza rifiuto e senza rivolta. Rimane, alla fine, proprio questo: una mitezza e un silenzio che sorprendono e pongono la domanda sul senso di questo porsi, e sul senso del male che l'asino vede e vive. Sono un "Ecce homo" senza altro commento.

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