
Blow Up
Il dettaglio viene alla luce nella camera oscura… lentamente. E il fotografo si rende conto che nello scatto c’è la prova di un omicidio. Inizierà una personale indagine tenendo come punto di partenza quella lastra impressionata. Ben presto comincerà a dubitare dello stesso tessuto del Reale, come se quella foto avesse aperto una porta verso una zona inesplorata dove materia e sogno sono indistinguibili. La storia di Blow Up, ambientato in una Londra in piena rivoluzione beat, si dipana da questo accadimento casuale. L’indagine che Thomas condurrà si trasformerà gradualmente da ansia per la verità a dubbio permanente, un continuo stato di indeterminatezza dove la verità da stabilire non è più se una persona sia stata uccisa ma se la realtà stessa sia un concetto inamovibile oppure se in qualche modo sia stata contaminata dalle illusioni della mente. Paradigmatica in questo senso è la deliziosa scena della partita a tennis tra mimi: Thomas sta vagabondando in un Parco pubblico quando una comitiva di ragazzi truccati da mimi inizia una partita di tennis senza racchette nè pallina. Thomas dapprima divertito e quasi sarcastico con il passare dei minuti cadrà nella finzione andando a raccogliere una pallina invisibile e rilanciandola ai contendenti (ma si tratta proprio di finzione oppure è la realtà denudata di ogni artificio cognitivo?). Michelangelo Antonioni firma una delle opere più affascinanti della sua filmografia. Un’opera in cui la forza semiotica dell’immagine (sintomatico in questo caso che il protagonista sia un fotografo) emerge devastante superando qualsiasi tentativo dialettico di raggiungere la conoscenza ultima.
Titolo originale: Blow Up