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Bob Fosse compie forse la più complicata ed azzardata operazione di collatio della storia del cinema. Il coreografo e regista infatti per mettere in piedi la drammaturgia di questo film fonde insieme cinque elementi narrativi: tre romanzi, una piece teatrale ed un musical, ossia prendendo spunto dalle storie di Christopher Isherwood, dal testo teatrale I’m a Camera di John Van Druten e dal libretto del musical Cabaret di Joe Masteroff. Il risultato è uno straordinario pastiche dove immagine e parola cantata si avvinghiano fino a formare un unico affascinante elemento espressivo. La storia è imperniata sulla ballerina di avanspettacolo Sally Bowles (interpretata da un’ispiratissima Liza Minelli) che nella Berlino degli anni 30 colleziona amanti viaggiando sulla lama sottile del nascente antisemitismo nazista. Inutile dire che le scene di ballo e canto, coreografate dallo stesso Fosse, sono a dir poco sublimi. Ma non meno sensazionale è la sceneggiatura che aggiunge una forte sensazione di contrasto emozionale al cantato e al ballato creando una sorta di corpus narrativo unico tra parola, canto e ballo. Un’opera dove il corpo è libero di esprimersi e dove fatalmente si resta incatenati a seguirne le duttili plastiche armonie.

Titolo originale: Cabaret

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