Delicatessen
Un film dove i toni surreali minano il senso della realtà e dove la comicità si trasforma in impalpabile distorsione del tessuto semantico. Junet e Caro sono attenti ad ogni minimo dettaglio, a cominciare dalla splendida sigla introduttiva (una delle più belle mai viste). La storia dipinge un contesto post-atomico, all’interno di un microcosmo condominiale in cui il dispotico Macellaio decide della vita (e della morte) degli inquilini dello stabile. Tutto questo fino all’arrivo dell’improbabile Louison, un girovago che spezzerà l’equilibrio e si ribellerà (suo malgrado) al dispotico tiranno e al suo cannibalismo strisciante. Sarà provvidenzialmente aiutato nell’impresa da una grottesca setta di uomini-topo facente base nelle fogne. Intorno alla trama principale vi sono una miriade di personaggi da cartoon stilizzati dalle mani di una sceneggiatura pirotecnica: l’allevatore di rane in appartamento, l’aspirante suicida perennemente incompiuta, il collaudatore di scatoline muggitrici. L’estro dei registi si dipana in mille rivoli nell’arco dell’opera, sempre pronti a catturare un emozione surreale e a lanciarla in pasto allo spettatore sotto forma di suggestione figurativa. Uno splendido esempio di questa tecnica è la sequenza in cui per documentare la quotidianità della vita del condominio, la sua martellante routine si sceglie di rappresentarla attraverso un ritmo generato dai rumori delle vite dei condomini: Louison che dipinge il soffitto con un rullo servendosi delle sue bretelle, l’amplesso sopra un letto cigolante del macellaio e della sua amante, il solfeggio della suonatrice di violoncello. Un’apoteosi visionaria di macchiette splendidamente incastonate nel corpo principale del racconto che fanno di Delicatessen un’opera ironica e grottesca, ma anche delicata e perfino poetica.
Titolo originale: Delicatessen