
Drive
Drive è forse l’ultimo colpo di coda del noir prima di fermare una corsa durata oltre settant’anni. Ma ha senso parlare di genere noir ai nostri tempi e in particolare per questo ottimo lavoro di Nicolas Winding Refn? Noi siamo convinti di sì. Analizziamo i fattori che compongono una classica storia noir degli anni cinquanta (il decennio di maggior fulgore): i protagonisti sono spesso perduti nella loro vacillante moralità, ubriaconi, rapinatori, prostitute, assassini, falliti, picchiatori, gente che è stata messa ai margini della società e cova verso di esso un rancore misto a cinismo e disinganno che conferiscono alla storia un sapore acre, di sconfitta stagnante. Il protagonista di Drive non ha nome, è un pilota che opera come stuntmen quando serve, lavora come meccanico e arrotonda guidando per rapinatori. La sua è una vita ascetica di completa solitudine, che verrà stravolta soltanto dalla donna di cui si innamorerà. Ma tutto finisce per defluire in una spirale senza fine di violenza dove brutalità e disumanità cancellano qualsiasi tipo di redenzione. Un altro elemento saliente del noir è il chiaroscuro, le pellicole erano infatti immerse in una penombra pressochè costante e la luce era rarefatta, bagnando il campo visivo con un bianco e nero lattiginoso e cupo. Anche in Drive, sebbene Refn abbia preferito il colore, l’uso della luce è magistralmente umbratile, giochi di ombre danzano sui visi dei protagonisti e la maggior parte delle sequenze è girata in notturno. Un altro elemento fondamentale del cinema noir sono i soldi attorno ai quali ruota sempre la narrazione: in Drive la chiave di volta della storia (tratta dall’omonimo romanzo di James Sallis) è un bottino di un colpo che il pilota (che non ha nome nè mai lo avrà nel corso del film) accetta di compiere per proteggere la donna di cui è innamorato. Un fuoco di fila di spietate ritorsioni e vendette brutali conduce lo spettatore attraverso un mondo sordido, senza luce, un lungo tunnel asfittico senza alcuna prospettiva di evasione. Un mondo senza salvezza dove il regista muove sagacemente la sua cinepresa come un silente voyeur che studia il comportamento di piccoli insetti che si dibattono invano in un’immensa ragnatela. Ne scaturisce un’opera brutale e affascinante, grezza e potente, con un linguaggio che squarcia il buio per definire un nuovo prezioso capitolo del cinema noir.
Il film della mia vita
splendido.