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Godard immerge il suo fulminante sguardo nel caos metropolitano, nell’alienazione e nell’anarchia della microcriminalità, con sguardo sardonico e irriverente. Il risultato è un’opera di un fulgore abbacinante, dove ironia, nonsense e amore per il surreale creano dialoghi divertenti, in cui perizia alla cinepresa e i salti semantici ne individuano la bellezza primordiale. Jean Paul Belmondo è un ladruncolo d’auto che uccide un poliziotto dopo essere stato fermato per un’infrazione stradale. Inizia una fuga in una Parigi anarchica e brulicante, in cui il protagonista ritroverà un sentimento totale e straniante nei confronti di una sua vecchia fiamma, interpretata dalla bellissima Jean Seberg. Ne nascerà un amore ironico, tra buffi litigi e promesse eterne, tra grotteschi inseguimenti e macchinose scene d’amore. Seguendo questa strana coppia il film approda al suo tragico epilogo. La scena finale è memorabile nella sua nettezza stilistica: Belmondo colpito a morte insegue invano un’auto fino a crollare a terra, in mezzo ad un incrocio, Jean Seberg sopraggiunge e lo guarda morire quasi con distacco, poi con tenerezza, chiedendosi quali siano state le sue ultime parole, si sfiora le labbra con movimento circolare del pollice, guardando intensamente nell’obiettivo. Un film paradigmatico per capire cosa sia stata la Nouvelle Vague e chi le abbia dato linfa artistica e in quale misura.

Titolo originale: À bout de souffle

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