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Il linguaggio del cinema è fatto essenzialmente di corpi e di carne, e poi di parole e gesti: è un codice espressivo che nasce dal corpo umano per ramificarsi in mille direzioni ermeneutiche. Gilda è forse il riscontro esemplare di questa tesi. Il film infatti estrinseca il suo messaggio attraverso il corpo e i gesti di Rita Hayworth plasmando un’iconografia sopravvissuta al tempo e ai mutamenti della Settima Arte. Il personaggio di Gilda, archetipo della femme fatale, assume sostanzialmente la valenza di contenuto semantico configurandosi come fulcro narrativo e iconografico dell’opera. Tratto dall’omonimo racconto di E. A. Ellington e portato sul grande schermo da Charles Vidor il film ottenne un grandioso successo planetario.

La storia è ambientata a Buenos Aires nel 1945. Johnny è un giocatore spiantato con il vizio di barare. Pizzicato in un Casinò diviene il braccio destro del proprietario Ballin Mundson che lo elegge a capo della sicurezza del locale. Tempo dopo Ballin torna da una vacanza accompagnato da una conturbante fanciulla che ha sposato. Tra Johnny e Gilda, la donna di Ballin, c’è qualcosa di elettrico, una sorta di attrazione e repulsione che ha origine nel passato dei due, protagonisti di una storia d’amore finita precipitosamente. Sarà l’inizio di un tenebroso triangolo che porterà i tre a misurarsi in una sorta di equazione dalle variabili sfuggenti e non risolvibili.

Tante le scene che fanno di questo film un caposaldo del genere noir, forse quella innervata all’immaginario di ogni amante del cinema è quella in cui Gilda, con sensualità fluida e immanente, canta “Put The Blame on Mame” ammiccando deliziosamente agli avventori estasiati. Scena replicata e omaggiata fino alla nausea, che ha fatto di questo film un archetipo del genere noir.

Titolo Originale: Gilda

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