
Good Bye Lenin!
Sgombriamo subito il campo: questo film è un lavoro così pungente e brillante che riesce a sorridere con naturalezza di un trauma collettivo come è effettivamente stato la caduta del muro e la transizione ad un sistema democratico per tutti i tedeschi dell’Est. Ed è propria tale transizione che è al centro di questo film che assurge a ingombrante metafora di cambiamento. Ogni tedesco dell’Est si è visto annullare di colpo ogni riferimento culturale, ogni contesto sociale e politico, ogni connotazione storica, precipitando di fatto in una sorta di limbo dove collettivamente si è trovato ad annaspare per poter di nuovo percepire lacerti di realtà che gli potessero nuovamente conferire dignità di uomo. Questa alienazione è intelligentemente campita all’interno di questo film come elemento portante di narrazione e come grimaldello per percepire lo straniamento di un’intera popolazione.
La storia è quella di Christiane, una donna che cade in coma prima della caduta del Muro e si risveglia “a giochi fatti”. Il figlio Alex cerca di armonizzare in ogni modo il rientro della madre in una società capitalistica scandita da nuovi ritmi e da nuovi ideali. Ben presto si renderà conto che l’unico modo per proteggerla è di far credere alla donna di essere ancora sotto la rassicurante egida del comunismo. Da qui l’idea di costruirle una sorta di ambiente protetto dove tutto fosse riconducibile al vecchio stile di vita. Un plauso a Wolfgang Becker per aver dunque saputo trovare leggerezza, levità e autoironia laddove ci si attendeva magari pomposo autocompiangimento. Un’opera intelligente, per molti versi dissacrante, ma sempre con un lirismo di fondo amaro e sospeso che ne fa una piccola perla della cinematografia moderna.
Titolo originale: Good Bye Lenin!

Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall’età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell’ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall’età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d’asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.