
Un dramma sociale diviene, nelle mani di Buñuel, un affilato strumento di denuncia e al contempo un perfetto ingranaggio cinematografico. Los Olvidados è il terzo del ciclo messicano del grande regista spagnolo e ottenne grandi riconoscimenti a cominciare dalla Palma d’Oro a Cannes nel ’51. La storia è incentrata sulle vicende di quattro ragazzi di strada a Città del Messico, quattro vite scavate nel solco di degrado e abbandono. Pedro ruba alla sua stessa madre e scappa di casa, Meche nasconde un coltello tra le vesti lacere da fanciulla, Ojitos attende invano ogni giorno un padre che lo ha lasciato al suo destino, e Jaibo vive di espedienti facendosi scudo con un’astuzia che lo mantiene in vita in un mondo ostile e spietato. Quattro vite destituite da ogni candore, da ogni borghese vernice di fatalismo. Un’opera che in Italia avremmo a ragione definita neorealista e che restituisce allo spettatore il crudele sapore della sconfitta in fieri. Non c’è alcuna compromissione etica nella narrazione, ogni giudizio morale è assente, rimane la cruda vicenda che spacca ogni convenzione e ci fa aprire gli occhi su un mondo fino a quel momento nascosto, irraggiungibile.
Titolo originale: Los Olvidados
Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall’età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell’ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall’età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d’asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.