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Un dramma sociale diviene, nelle mani di Buñuel, un affilato strumento di denuncia e al contempo un perfetto ingranaggio cinematografico. Los Olvidados è il terzo del ciclo messicano del grande regista spagnolo e ottenne grandi riconoscimenti a cominciare dalla Palma d’Oro a Cannes nel ’51. La storia è incentrata sulle vicende di quattro ragazzi di strada a Città del Messico, quattro vite scavate nel solco di degrado e abbandono. Pedro ruba alla sua stessa madre e scappa di casa, Meche nasconde un coltello tra le vesti lacere da fanciulla, Ojitos attende invano ogni giorno un padre che lo ha lasciato al suo destino, e Jaibo vive di espedienti facendosi scudo con un’astuzia che lo mantiene in vita in un mondo ostile e spietato. Quattro vite destituite da ogni candore, da ogni borghese vernice di fatalismo. Un’opera che in Italia avremmo a ragione definita neorealista e che restituisce allo spettatore il crudele sapore della sconfitta in fieri. Non c’è alcuna compromissione etica nella narrazione, ogni giudizio morale è assente, rimane la cruda vicenda che spacca ogni convenzione e ci fa aprire gli occhi su un mondo fino a quel momento nascosto, irraggiungibile.

Titolo originale: Los Olvidados

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