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In uno squallido alberghetto di quart’ordine un uomo attende con disillusa rassegnazione l’arrivo dei sicari, è un criminale di mezza tacca che chiamano “Lo Svedese”. Inizia con questa folgorante messa in scena uno dei più affascinanti racconti di Hemingway. L’attesa di quest’uomo si dilata attraverso i fotogrammi, il monotono scorrere del tempo diviene un parametro di narrazione, la scena rallenta fin quasi a fermarsi, lo spettatore è come paralizzato. Siodmak lavora egregiamente sulla materia hemingwayana puntando l’obiettivo della sua cinepresa sulla figura del protagonista, sondandone ogni recondita emozione e restituendola sotto forma di pura essenzialità, spogliata di ogni inutile orpello formale. Lo stesso Hemingway ammise che questo film era l’unico che aveva veramente colto lo spirito di una sua opera. Dopo l’inevitabile uccisione dello Svedese inizierà il paziente ordito dei flashback che metteranno a nudo la vita dell’uomo e il motivo della sua tragica fine. Un film che segna indelebilmente il genere noir, con un grande Burt Lancaster e un ancor più grande regista nel ruolo di Demiurgo delle emozioni, un invisibile burattinaio che gioca sagacemente con la morbosa curiosità dello spettatore portandolo dove esattamente lo voleva.

Titolo originale: The Killers

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