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Al suo secondo film Fellini dipana il suo meraviglioso linguaggio intessuto di ricordi adolescenziali, personaggi grotteschi, imprese picaresche, ironia di strada. Un’opera che rende dichiaratamente omaggio alla sua venerata Rimini, ricostruita per esigenze cinematografiche sul litorale tirrenico (cosa che dopo lo sconcerto iniziale gli fu perdonata dai suoi ammirati concittadini). La storia narra le imprese di cinque sfaccendati bighelloni in una Rimini sospesa nel tempo e nella memoria. I cinque vivono di scherzi triviali, di vicendevole sarcasmo, di piccoli espedienti tentando di sopravvivere alla furia del giorno e cercando di non fermarsi a pensare alla contingenza. Tra loro in risalto il personaggio contraddittorio di Alberto (Alberto Sordi) che regala squarci di violenza repressa alternati a grottesche rodomontate. Un film che mette a nudo la debolezza umana di fronte alla gravità della realtà. La leggerezza dell’ironia si stempera e infine evapora al sorgere dei primi problemi. E dietro a questa dicotomia intravediamo in filigrana lo sguardo amorevole di Fellini che non condanna assolutamente, ma che accarezza i suoi vitelloni come il poeta fa con i suoi amati versi.

Titolo originale: I Vitelloni

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