
Il Bandito delle 11
Pierrot Le Fou è una storia di libertà: dalle catene del conformismo, dalle convenzioni sociali, dalla routine omologatrice. Godard ritaglia un personaggio metallico: ama e non sa amare, delinque e non sa delinquere. Eppure lo amiamo fin dal primo momento che appare sullo schermo e ne restiamo perdutamente affascinati. Lo scarto semantico che si irradia da un tale antieroe condiziona inevitabilmente tutta la sua storia, devastandone la linearità e persino la scansione temporale. Una vicenda che si contorce su sè stessa quasi a ricalcare la bicefala umanità del suo principale attore. La storia è quella di Ferdinand Griffon detto Pierrot. Stanco della vita ordinaria lascia la famiglia e fugge con una conturbante donna algerina di nome Marianne lasciandosi alle spalle un cadavere. Sarà una vita di fuga e sregolatezze, in precario equilibrio sulle fragili leggi umane. Un film denso di quel lirismo distaccato, à la Godard, dove lo spettatore è al centro di un complicato processo ermeneutico secondo il quale viene lasciato a lui l’ultimo inesorabile giudizio che diviene parte integrante della storia narrata, essa può addirittura mutare nella memoria dello spettatore: per arrivare all’Opera d’Arte non-finita o, se preferite, infinita.
Titolo originale: Pierrot le fou

Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall’età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell’ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall’età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d’asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.