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Un cavaliere rientra sfinito dalle Crociate quando incrocia la Morte. Per sfuggire al suo abbraccio la sfida ad una partita a scacchi. Inizia così un’avvincente braccio di ferro psicologico tra uomo e spirito immortale, un dualismo in cui i due contendenti lottano disperatamente alla pari per tentare di sopravanzare l’avversario. Questo è il folgorante plot di uno dei film più belli e affascinanti mai girati da essere umano. Ingmar Bergman davvero sublime nell’arte di rendere visivamente il pathos del dualismo tra i due contendenti, di una battaglia silenziosa combattuta nelle menti e nell’anima tormentata del Cavaliere. Le varianti di ogni mossa vengono analizzate in un flusso psicologico nascosto eppure riverberato nella narrazione, come in ogni titanica sfida scacchistica il fulcro del conflitto si cela nei recessi delle menti dei contendenti, ed è proprio lì che Bergman lo intercetta e ce lo fa balenare. Come un trattato filosofico reso per immagini e parole si ha quasi l’impressione di poter toccare con mano il flusso dei pensieri, il punto segreto del contendere, la sovranità degli spazi in lotta per il predominio. L’immagine finale è di una bellezza ancestrale: un corteo di oscure sagome danza indemoniato sulla cresta della collina, la Morte apre questa macabra Processione, dietro le sue prede che si contorcono nella luce livida dell’alba, chiude la fila il suonatore di cetra. In questo sfolgorante Baccanale c’è l’idea di Cinema che Bergman mette in opera: una geniale commistione di Vita, Morte e Immagine a sancirne i confini, a disegnarne i prismatici rimandi. Un’opera maestosa e nascosta, come un immenso diamante platonico sul fondo degli abissi.

Titolo originale: Det sjunde inseglet

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