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Vertigo è prima di tutto una sonda sensibilissima dentro le paure dell’uomo. E’ un’opera indubbiamente di immenso valore artistico che acquista più potere visivo grazie al modo in cui Hitchcock riesce a filmare su pellicola le emozioni vibranti di ogni personaggio coinvolto in questa storia. La trama vede un detective di San Francisco ingaggiato dal marito di una donna per seguire la consorte e indagare sul suo stato di salute mentale. Sarà l’occasione per l’uomo di sprofondare in una spirale di paranoia e mistero. L’arte più perversa di Hitchcock è quella di renderci partecipi – gradualmente ma inesorabilmente – delle fobie della protagonista, ma sempre in uno stato di sospensione, come a darci il tempo per chiederci: tutto questo è reale? Un gioco al massacro sulla pelle dello spettatore quindi, il passatempo preferito di Hitchcock (e qui ci starebbe bene una faccina sorridente). Ma Vertigo è anche una storia d’amore, ed è questa la grande maestria narrativa: quella di far marciare di pari passo, perfettamente sincronizzati, i due generi: thriller e romantico. Una menzione negativa per l’Academy che nell’attribuzione degli Oscar nel 1958 non considerò ne questo film nè Touch of Evil di Welles, un vero e proprio scempio. Vertigo: un lungo brivido su pellicola, una regia magistrale, un film insostituibile.

Titolo originale: Vertigo

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