La Folla
King Vidor diresse questo film dietro la consapevolezza che le grandi metropoli americane che stavano allora sorgendo portavano con sè gravi effetti collaterali, tra i quali alienazione, solitudine, emarginazione. Proprio come la letteratura mise in luce gli aspetti più nefasti della Rivoluzione Industriale anche il cinema cercava elementi di disagio nel brulicante meccanicismo del progresso (Chaplin in Tempi Moderni fu un precursore in questo). Ed è proprio intorno a questo concept che viene edificata questa magnifica opera del cinema muto: il progressivo allontanamento dell’uomo da una realtà ostile e la sua inesorabile deriva psicologica. La storia è incentrata sulla vita di una coppia a New York. Ad ogni piccola gioia corrisponderà un tormentato fallimento. I profili dei due protagonisti vengono messi a nudo da un magistrale uso della sceneggiatura e della cinepresa. Ne consegue la scarnificazione di due coscienze portando alla luce debolezze, piccole viltà, egoismo. Da sempre attirato dall’espressionismo e dalla stilizzazione, Vidor ha manifestato la sua predilezione per entrambi in The Crowd. I personaggi sembrano ingoiati dal loro ambiente; l’edificio per soli uffici in cui lavora John è uno delle migliaia presenti in città, e la cinepresa stringe attraverso una finestra scelta apparentemente a caso, per andare ad inquadrarlo, un altro schiavo salariato in un ufficio di scrivanie identiche con l’obiettivo di produrre all’infinito. In precedenza nel film, quando John avverte, come in una premonizione, la morte di suo padre, Vidor crea una visione del suo stato ponendo il ragazzo su una scala costruita con una prospettiva distorta verso un corridoio effettivamente dipinto sulla parete posteriore del set. John, sostenuto da un parente, sembra librarsi sulla folla curiosa rannicchiata intorno alla porta per andare incontro ad un futuro incombente e minaccioso.
Titolo originale: The Crowd