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Carl Theodor Dreyer, regista danese antesignano del genere epico, campisce la sua Giovanna d’Arco in un salire di ossessivi primi piani che appaiono ancora oggi come tremendamente efficaci e anzi, in qualche modo funzionali alla prospettiva intimista che Dreyer vuole dare della Santa. La cronaca agiografica è rivisitata con occhio sempre indagatore e mai fermo alla mera cronaca. Giovanna d’Arco è prima di tutto una donna che ha diritto di soffrire per l’orrore che le viene imposto, e solo in un secondo momento appare come l’eroina ammantata di luce eterna che la storia ecclesiastica ci ha consegnato. La Santa appare sì nel suo fulgore mistico, ma anche e soprattutto in una nuova luce più umana, derivata da un’attenta indagine psicologica condotta sul personaggio e dal taglio realistico di cui Dreyer era strenuo fautore. Celebri le scene in cui a Giovanna vengono tagliati i capelli, o in cui la Santa ritratta l’abiura estorta sotto tortura e viene condannata al rogo. Rilevante è la presenza nel film di Antonin Artaud, drammaturgo e catalizzatore intellettuale dell’Epoca. In definitiva un film che ha aperto nuovi orizzonti espressivi e che rimane tuttora insuperato per la sua grandezza.

Titolo originale: La passion de Jeanne d’Arc

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