Ladri di Biciclette
Vittorio De Sica emerge dalle nebbie della Grande Guerra e spinge il suo profondo sguardo su un’Italia che fatica a ritrovare una dimensione reale dopo lo sconquasso bellico. Un uomo, insieme a suo figlio, cerca disperatamente di rientrare in possesso della sua bicicletta, rubatagli da ignoti qualche giorno prima, il mezzo è l’unico strumento che gli consentiva di svolgere il suo lavoro di attacchino. Inizia un’odissea nella Roma post-bellica densa di immagini, personaggi, atmosfere ed emozioni. Attraverso il viaggio dell’uomo riscopriamo una città mai doma, che ha voglia di rialzarsi e lotta quotidianamente contro meschinerie e povertà. Un monumento del neorealismo, e in senso lato, del cinema italiano. Un film che ha inventato un linguaggio e lo ha codificato a beneficio delle generazioni future. Una forma di comunicazione che nasce dalle cose di tutti i giorni, i piccoli oggetti che ci aiutano a vivere, consumati dal tempo, resi claudicanti dalla consunzione. Una tassonomia di cose messe in relazione con l’uomo e i suoi bisogni, il suo lavoro, le sue piccole quotidiane aspirazioni. Quell’intimo rapporto uomo-oggetto che ci ricorda una canzone di Guccini: “s’ illuminava di una gioia grande quando si avvicinava a una tastiera e preferiva quelle un poco usate, quelle in cui tutti mettono le mani, quelle ingiallite dal tempo, un po’ scordate dall’ignoranza e dalla passione degli umani…”.
Titolo originale: Ladri di Biciclette