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Un’opera claustrofobica più che surreale questa di Buñuel, un ordito teatrale che si dipana come in palcoscenico, con tutti i crismi aristotelici delle 3 unità: di luogo, di tempo e di azione. Di riflesso certo si legge anche l’aspra e feroce satira contro il solito ceto medio borghese, bolso e beota, che ne viene fuori massacrato da questa vicenda grottesca. Un gruppo di ricchi dignitari messicani si ritrova in una casa per un party, ben presto si renderanno conto che un’arcana forza impedisce loro di uscire dal salone delle feste. Improvvisamente, quando tutto sembra precipitare, si ritroveranno magicamente in una Chiesa: i loro atavici timori troveranno fondamento in un corpo a corpo mistico con l’Inconoscibile. Una trama bislacca per un’opera dai forti sapori ioneschiani, affascinante fino alla morte nei suoi nonsense, nella sua minuta caratterizzazione di figure patetiche, nei suoi tanti germi di innovazione narrativa. Buñuel come al solito è Maestro nel far danzare i suoi burattini dentro l’angusto proscenio semantico che riserva loro: essi si dibattono, si scuotono, discutono, litigano, pontificano. Ma sono come cristallizzati in una realtà che non li riguarda, che non ha più cura di loro, automi svuotati di ogni dignità umana.

Titolo originale: El ángel exterminador

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