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Monicelli scrive e dirige un’opera comica, usando l’arma a doppio taglio della parodia in chiave sguaiata ed elaborando un personaggio quasi surreale, in bilico tra Cervantes e Rabelais. Un gruppo di vagabondi perdigiorno viene in possesso di una pergamena che attesta il possesso della cittadella pugliese di Aurocastro. Lo sgangherato plotone elegge il cavalier Brancaleone a leader di quell’impresa e si mette in marcia verso la Terra Promessa. Inutile dire che il viaggio sarà costellato da imprevisti e avventure di ogni genere che metteranno in luce la cialtroneria cavalleresca del prode Brancaleone. Due le scene che vogliamo ricordare: il roboante discorso di Brancaleone alla truppa prima di partire per l’impresa, dove promette ai suoi prodi, tesori e bianche femmine: “Silenzio! Io vi sono duce! E però mi dovete obbedienza e dedizione. Lo nostro cammino sarà cosparso di sudore, lacrime et sanguine. Siete voi pronti a tanto? Respondete a una voce. Siete voi pronti a morire pugnando? Noi marceremo per giorni, settimane et mesi, ma infine averemo castella, ricchezze et bianche femmine dalle grandi puppe.” La seconda scena da ricordare è il duello con il cialtronesco Teofilatto dei Leonzi (interpretato da un Volontè evidentemente a suo agio anche nei ruoli comici) dove nella furia dell’agone (e in mezzo alle tante tregue) i due disboscano e mietono il paesaggio. Un’opera di straordinaria vis comica, impreziosita dalla recitazione di Gassman che dona al personaggio un alone di mistica fanfaronaggine.

Titolo originale: L’Armata Brancaleone

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