L’Isola Nuda
- Masanori Horimoto, Nobuko Otowa, Shinji Tanaka, Taiji Tonoyama
- Kaneto Shindô
- Drammatico
- 23 Novembre 1960
A volte veniamo messi dinanzi ad opere che ci colpiscono con la semplice forza delle immagini, una sorta di ineluttabile energia iconica capace di sovrastarci e catturarci. Questo film di Kaneto Shindô ne è forse l’esempio più nitido. Un’opera che non ha bisogno di parole, si staglia come un monolite contro l’orizzonte e ci attanaglia con la sua imponente massa oscura. Già dalle prime fulminanti immagini che scorrono si vive come un senso di sospensione, uno straniamento estetico che ci proietta in questo microcosmo dove Kaneto Shindo muove i suoi personaggi.
Una donna risale con fatica immane un pendio di una piccola isola trasportando un bilanciere con due enormi secchi d’acqua. Lo sforzo profuso è talmente palpabile che diviene entità fisica in primo piano. Seguendo il suo Calvario il regista ricostruisce la dura vita di una famiglia giapponese di quattro persone (Padre, Madre e due figli) che abita questo scoglio nel Pacifico dove, sfidando una Natura atavica, si arrabatta per sopravvivere. A causa della mancanza d’acqua sono costretti, per irrigare coltivazioni ricavate da erte terrazze a picco sul mare, a fare la spola con una barchetta verso un’isola vicina. Ogni giorno trasportano acqua, generi che barattano con il ricavato della terra, conducendo i due figli a studiare nell’isola vicina. Ma un terribile evento sembra squarciare questa vita di stenti e sacrifici: il figlio più grande si ammala e muore per mancanza di cure adeguate. La moglie, personaggio chiave della vicenda, ha un moto di ribellione e sembra gridare la sua amara frustrazione contro il marito che l’ha condotta in quel remoto luogo dimenticato da Dio, un disperata insurrezione contro un’aspra Natura, contro la crudeltà di un Destino beffardo e cinico. Il suo, tuttavia, è null’altro che un dissidio infinitesimale, un’eversione microscopica che si perde nell’infinità dell’Oceano, nel correre via del Blu marino intrecciato ad un Cielo cobalto. Poi tutto riprende immutabile, eterno, ineluttabile: senza un’ombra di speranza, di pallida redenzione.
Meraviglioso l’intimo verismo di questa pellicola nel rendere la vita quotidiana della famiglia nei suoi caparbi metodi di coltivazione, nelle sue mansioni quotidiane fatte di attrezzi autocostruiti, di ingegnosi depositi d’acqua, di un continuo e laborioso compromesso tra Anima e Natura. Shindo, con questa sua opera dimostra di essere non soltanto uno dei più grandi e prolifici sceneggiatori del Cinema Giapponese (la sua collaborazione con Mizoguchi divenne leggendaria), ma uomo di Cinema completo e sensibile, un grande artista che seppe conquistarsi un posto di rilievo nella storia della cinematografia nipponica.
Titolo Originale: Hadaka no Shima