L’Ultimo Spettacolo
Bogdanovich travalica (finalmente, verrebbe da dire) il sillogismo hollywoodiano “problema-soluzione-happyend” per addentrarsi in una vicenda di disagio morale, psicologico, economico. Il suo mood tuttavia non appiattisce la narrazione a mero messaggio sociale, ma è un autentico artiglio che scava le coscienze dei protagonisti portandone alla luce l’alveo psicologico con studiato metodo. Da qui ne scaturisce una sorta di psicodramma di decadimento dell’Io. Una lenta disgregazione di ogni valore dove la decadenza è essa stessa oggetto di anatomia scarnificante e assurge a fulcro semantico del messaggio. La storia è ambientata in una cittadina della sperduta provincia del Texas, all’inizio degli anni ’50. Sonny è un uomo sopraffatto dagli eventi, che cerca di sopravvivere alla noia della vita di provincia. Prenderà in mano un cinema locale con alterne fortune, passerà da un’amante disillusa all’altra, coltiverà un’amicizia unilaterale con un ritardato mentale. Dietro Sonny intravediamo l’ombra inquieta e acuta di Bogdanovich che spinge il suo talento registico fino a disegnare l’essenza stessa dello spirito inquieto che anima il suo anti-eroe, denudandolo e infine glorificandolo con malcelata ironia.
Titolo originale: The Last Picture Show
un film che fa male. Si sente il tempo passare sopra, attraverso, senza pietà, senza fretta.