
L’Ultimo Spettacolo
Bogdanovich travalica (finalmente, verrebbe da dire) il sillogismo hollywoodiano “problema-soluzione-happyend” per addentrarsi in una vicenda di disagio morale, psicologico, economico. Il suo mood tuttavia non appiattisce la narrazione a mero messaggio sociale, ma è un autentico artiglio che scava le coscienze dei protagonisti portandone alla luce l’alveo psicologico con studiato metodo. Da qui ne scaturisce una sorta di psicodramma di decadimento dell’Io. Una lenta disgregazione di ogni valore dove la decadenza è essa stessa oggetto di anatomia scarnificante e assurge a fulcro semantico del messaggio. La storia è ambientata in una cittadina della sperduta provincia del Texas, all’inizio degli anni ’50. Sonny è un uomo sopraffatto dagli eventi, che cerca di sopravvivere alla noia della vita di provincia. Prenderà in mano un cinema locale con alterne fortune, passerà da un’amante disillusa all’altra, coltiverà un’amicizia unilaterale con un ritardato mentale. Dietro Sonny intravediamo l’ombra inquieta e acuta di Bogdanovich che spinge il suo talento registico fino a disegnare l’essenza stessa dello spirito inquieto che anima il suo anti-eroe, denudandolo e infine glorificandolo con malcelata ironia.
Titolo originale: The Last Picture Show

Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall’età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell’ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall’età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d’asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.