L’Uomo che non c’era
Dopo lo splendido Crocevia della Morte degli esordi i fratelli Coen ritornano al noir e lo fanno a modo loro: con uno stile raffinato e fortemente ispirato ai fecondi anni cinquanta. Ne esce un’opera patinata con citazioni e omaggi al filone hard boiled e con una fotografia mozzafiato. Il ricorso al bianco e nero non è che un naturale complemento di questo progetto artistico e infonde inquietudine e bellezza al tessuto narrativo. La storia è quella di Ed Crane, triste barbiere con il perenne sospetto di essere tradito dalla moglie. Per sfuggire a questi tetri pensieri si getterà nel lavoro, ma per farlo estorcerà una somma di denaro all’amante della moglie, che poi ucciderà in un raptus. Un vortice di nere conseguenze stravolgerà per sempre la sua vita. Un film tetro e conturbante, con una filigrana di amaro cinismo che avvolge la narrazione. Il rarefatto disincanto di Ed quando affronta la sedia elettrica fa della sequenza finale una “cult scene” da archiviare e custodire: l’uomo attraversa un lungo corridoio scortato da due poliziotti, il suo viso è disteso, quasi sereno. Il corridoio è illuminato da lampade a muro che gettano una luce sghemba e simmetrica. Ed lo percorre ripensando alla sua vita, e chiedendosi se dovesse rimpiangere qualcosa. Una porta improvvisamente si apre rivelando una stanza di un bianco abbacinante: tutto è bianco, non si distinguono neppure i confini tra muri, soffitto e pavimento, un fascio accecante interrotto dalla lugubre sedia elettrica, al centro, che attende il suo ospite.
Titolo originale: The Man Who Wasn’t There
Perfetto. Sconsigliato a chi cerchi di smettere di fumare perché qui il fumo bianco e il suono propri delle sigarette è diabolico. Fotografia come al solito splendida.