Moon
Film low-budget di ottima fattura, realizzato con pochissimi mezzi (un budget totale di cinque milioni di dollari) ma affascinante nella sua idea di fondo del Doppelgaenger e delle paranoiche implicazioni nello scoprire un altro se stesso. Duncan Jones (figlio di David Bowie) scrive e dirige una storia intrigante che ci pone al cospetto di una lenta deriva dell’io che cessa di essere univoco e irripetibile rifrangendosi in pura molteplicità, come un raggio che attraversi un prisma. Girato interamente in studio dove è stata ricreata la base lunare, con la maggioranza delle scene interpretate da un unico attore, questo film colpisce per la naturalezza della fotografia di Gary Shaw, con colori caldi e soffocanti, perfettamente complementari alla narrazione. In un futuro imprecisato un’azienda statunitense, la Lunar, ha scoperto il modo di produrre energia pulita sfruttando i materiali minerali sulla Luna. A sorvegliare il lavoro dei macchinari un unico tecnico, Sam Bell, aiutato da un computer che sovrintende le mansioni tecniche della base lunare, dotato di una voce umana con cui comunica con Sam (vi ricorda qualcosa? Il rimando a Kubrick pare evidente). A pochi giorni dal suo rientro sulla terra dopo un lungo periodo di tre anni trascorso nella base lunare Sam, dopo un incidente, scopre per una tragica fatalità, un altro se stesso presente nella base. E’ l’inizio di un incubo psicologico senza fine, fino al tragico disinganno finale. Un’opera davvero meritoria soprattutto per due aspetti: la recitazione eccellente di Sam Rockwell e il soggetto originale sviluppato con audacia teatrale e raffinata tecnica introspettiva sul protagonista. Un piccolo cult di fantascienza.
Titolo originale: Moon
Sì ma il senso qual è? Mica è chiaro...