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Vincitore della palma d’oro a Cannes e tratto da uno splendido libro autobiografico di Gavino Ledda, questo film dei fratelli Taviani è in primo luogo un poetico tentativo di far luce sul rapporto uomo-natura, in secondo luogo di scandagliare i rapporti interfamigliari nelle zone rurali dove l’arretratezza culturale seguiva di pari passo quella economica al fine di evidenziarne la durezza ma anche il vincolo indissolubile. La storia è infatti incentrata su Gavino, un giovane che viene strappato dal padre alla società per pascolare un gregge di pecore. Il ragazzo si troverà immerso in una solitudine straniante, in una natura aspra e forte, nel completo silenzio dei boschi. Su di lui l’odiosa autorità del padre che lo costringe a fare quella vita grama. La partenza per il servizio militare in Italia, la scuola serale e l’indipendenza economica dal padre lo porteranno a tentare di staccarsi dal severo genitore. L’opera dà il meglio di sè non tanto nel complicato rapporto tra padre e figlio quanto nella comunione con una natura ostile ma nello stesso tempo madre protettiva. Memorabile la scena in cui il padre va a prelevare Gavino da scuola per toglierlo per sempre dalla società e porlo alla guida del suo gregge di pecore. La scena è di una durezza esasperata: l’uomo espone alla maestra le sue ragioni con fierezza mentre Gavino in piedi in mezzo ai banchi non riesce a trattenere la pipì per la paura. Un’opera straordinaria, per fotografia e impatto emotivo.

Titolo originale: Padre Padrone

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