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Un moto ciclico e perpetuo che si rinnova attraverso una sontuosa iconografia e una spiritualità corrotta, si potrebbe sintetizzare così il nuovo capitolo cinematografico di un regista poliedrico e imprevedibile quale è Kim Ki-Duk. Un regista (e attore in questo caso) che ama esplorare a fondo le necrosi dell’animo umano per santificarle attraverso un selvaggio uso dell’immagine e della narrazione. I suo film sono fondamentalmente storie in dissolvenza, parabole di lento decadimento attraverso un raffinato processo di involuzione dell’uomo in cui il regista rimane algido osservatore. Primavera, uscito nella sale nel 2003 e primo film del regista coreano ad uscire anche in Italia, segna una netta cesura nella poetica di Kim Ki-Duk, configurandosi come il trapasso dalle allucinate e morbose atmosfere delle sue opere d’esordio (Coccodrillo, Bad Guy, L’Isola) verso una più patinata e canonica visione del mondo, un ascetismo tuttavia mai di maniera, in cui la disgregazione del protagonista è sempre presente, ma non è più violentemente al centro della scena.

La storia è quella di un anziano Monaco e del suo giovanissimo discepolo che vivono in uno sperduto eremo buddista incastonato tra le montagne della Corea del Sud, un ligneo Tempio sospeso tra cielo e terra, galleggiante sulla superficie di un lago incontaminato. Intorno a questa sorta di teatro mobile ruota tutta la narrazione dell’opera che non si allontana mai da questa meravigliosa locazione. Le quattro stagioni segnano altrettanti punti focali a cui la vicenda dei due uomini si avviluppa. Primavera si apre con il discepolo bambino che viene ripreso dal Maestro per aver torturato tre animali, un pesce, una rana ed un serpente, legando loro una cordicella con un sasso e provando divertimento dinanzi alle loro sofferenze. E’ fortissima la simbologia legata al mondo animale che caratterizza tutta l’opera (ogni stagione ospita un diverso animale che scorrazza libero per l’eremo: un cane, un gallo, un gatto, un serpente). Estate segna l’arrivo della fisicità con l’attrazione sessuale e l’innamoramento tra il discepolo adolescente e una giovane ragazza giunta all’Eremo per essere curata da un misterioso malessere. Il sesso tra i due ragazzi è una sorta di grimaldello che straccia la cortina di ascetismo e segna il distacco tra Maestro e Discepolo. Con la partenza del ragazzo si chiude infatti l’Estate. In autunno l’uomo farà ritorno all’Eremo dall’ormai anziano Maestro dopo aver ucciso la moglie in un impeto di ira per un suo tradimento. Il Maestro obbligherà l’uomo ad un rito calligrafico di penitenza incidendo nelle assi dell’Eremo alcuni Mantra di Penitenza. La stagione si chiude con l’assassino che viene arrestato dalla polizia e condotto via, mentre il Maestro purga le sue lacune di insegnante con il Suicidio in cui purifica il suo corpo con il fuoco. L’inverno segna il ritorno del discepolo all’Eremo dopo aver scontato le sue colpe. L’uomo decide di consacrare la sua vita all’ascetismo e al distacco dalle cose terrene. Ma la ruota infinita della Vita gli sottopone un giovane adepto a cui dovrà dedicare i suoi insegnamenti in un moto perpetuo e ciclico che si rinnova: un gigantesco serpente che si morde la coda, un nastro di Moebius che vibra all’infinito sopra la fragile finitezza degli uomini.

Titolo Originale: Bom yeoreum gaeul gyeoul geurigo bom

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  1. Cristina 14 Ottobre 2023

    Davvero un ambientazione cinematografica stupenda, in linea con la narrazione del film, senza mai discostarsi, cullando, in una sorta di abbraccio discorsivo, le varie stagioni che si intersecano con le vite dei due protagonisti ove l'unica pecca è il ruolo marginale dato alle donne, nonostante siano i punti salienti da cui vengono tratte le azioni più significative dei personaggi del film. Dispiace constatare, al termine, che per il regista il male è intrinseco in ciascun essere umano sin dalla tenera età.

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