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Un corpo giace come un orrido trofeo in un cortile di Castelvetrano, provincia di Trapani, mentre la voce anaffettiva di un funzionario ne descrive gli squallidi particolari con precisione tassonomica. Ricoperto di sangue se ne distingue il viso fiero, appartiene ad un uomo che popolò l’immaginario di ogni siciliano per oltre un trentennio: il bandito Salvatore Giuliano. Incomincia così questo straordinario film di Rosi, forse il culmine della sua arte e della sua parabola registica. Tramite flashback viene ricostruita la vita del bandito e strettamente sovraordinata la vita della Sicilia dagli anni 30 agli anni 50: i rapporti della mafia con il potere istituzionale, la repressione statale sui più deboli, le connivenze e le contraddizioni di una terra magnifica infestata di parassiti senza dignità. Memorabili le scene del sanguinoso eccidio dei contadini a Portella della Ginestra, il primo maggio del quarantasette, una macchia indelebile nella storia italiana. Rosi non esprime mai giudizi morali, il suo è un freddo lavoro di documentazione, quasi un cronista celato nelle pieghe della storia che riporta a noi i fatti nella loro spietata crudezza. Un film che scuote violentemente le coscienze e che rimane uno dei momenti più alti del cinema italiano.

Titolo originale: Salvatore Giuliano

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