Scarpette rosse
Un’opera girata a quattro mani da Michael Powell ed Emeric Pressburger è divenuta, nel tempo, un santuario degli amanti del genere melodrammatico, e più in generale oggetto di ammirazione di critici e amanti del ballo tout court. Cos’è che rende speciale questo film? Anzitutto la storia: una ballerina consacra se stessa alla danza, massacrata fisicamente dal direttore di una compagnia (il celebre personaggio di Lermontov) che la sottopone ad una disciplina ferrea e distruttiva. La ragazza divide la sua vita tra l’amore per la danza e la passione per un compositore che lavora allo spettacolo di Scarpette Rosse (basato sulla fiaba di Andersen). Un tragico epilogo suggellerà questi due tormentati amori. Ciò che colpisce in questo film è il tentativo di carpire l’essenza istintuale del ballo sfrondata da qualsiasi razionalità, la danza come linguaggio del corpo privata di qualsiasi coscienza ma librata nella sua animalesca furia. Seguendo le aeree movenze di Vittoria noi ci libriamo con lei al di sopra di un mondo fatto di pesantezza e grevità per divenire pura aria in divenire, pura espressione di muscoli e corpo. Un film che fa dell’espediente scenico, della tecnica di ballo e del melodramma puro le sue armi vincenti.
Titolo originale: The red shoes