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De Sica, un anno dopo Roma Città Aperta che plasmò il canone neorealista, raccoglie la lezione di Rossellini realizzando un’opera splendida, dibattuta tra amore per il popolo e cruda narrazione. Il nuovo movimento cinematografico a cui aderisce De Sica vuole liberarsi da tutti gli orpelli di maniera che avevano caratterizzato l’epoca fascista imbrigliando ogni tipo di aspirazione estetica, per raccontare la realtà nuda e cruda, senza finzioni nè artifici (si pensi ai barocchismi del neoclassicismo e a tutto il retaggio di realtà artefatta che portarono con sé). Le storie neorealiste nascono, vivono e si esauriscono nel popolo. La storia in questo senso è emblematica e funzionale a questa nuova idea di cinema che stava sbocciando. Due giovani napoletani lustrascarpe con la passione per l’equitazione detti sciuscià, contrazione dell’inglese shoe shine, decidono di imbarcarsi in un losco affare per potersi permettere l’acquisto del loro cavallo preferito: Bersagliere. I due però vengono arrestati e condotti in carcere ma riescono, prima della detenzione, a portare a termine l’acquisto del cavallo che viene affidato alle cure di uno stalliere. Il direttore del carcere sfrutterà l’amore dei due ragazzi per l’animale per fare loro confessare i nomi dei complici. Inizierà per loro un percorso catartico che li spoglierà dell’infanzia per gettarli bruscamente nel mondo degli adulti. I due ragazzi scopriranno il significato di parole che prima non conoscevano: tradimento, inganno e slealtà.

Sciuscià non è stato concepito sotto il comodo abbraccio dei modelli di romanticismo o del melodramma; è una di quelle rare opere d’arte che sembrano emergere dalla confusione dell’esperienza umana senza averne appianato i bordi grezzi che ne costellano il vissuto. Sciuscià non perde mai di vista l’uomo, lo tiene sotto analitica osservazione, rifiutando ogni genere di compromesso, un’operazione stupefacente e rivoluzionaria se si tiene conto dei modelli cinematografici precedenti. Sciuscià ci mostra il senso di confusione e gli incidenti sgradevoli che accadono negli affari umani, portando alla luce il marcio che c’è nella nostra realtà. La grandezza di Sciuscià è proprio in quella terribile sensazione che proviamo di fronte ad emozioni umane che non sono state rielaborate attraverso una sovrastruttura ma che ci vengono consegnate grezze, pure, ferine. Un tipo di cinema che rifiuta qualsiasi tipo di modello che possa intervenire sul senso del testo ma che intende soltanto documentare e informare lo spettatore. Un’operazione che nel film appare quasi naturale grazie alla sceneggiatura di Cesare Zavattini e al fine lavoro di cesello di De Sica con la macchina da presa.

Titolo originale: Sciuscià

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  1. Anonimo 5 Agosto 2020

    Eccelsa davvero , complimenti

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