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Un’opera al nero che fa dell’angoscia crescente, del senso opprimente di persecuzione i suoi pilastri semantici. Se7en è un film che rientra nei tipici canoni del film poliziesco: un serial killer, due poliziotti che indagano sui suoi crimini, un macabro rituale di morte. Ciò che rende Seven realmente interessante è l’uso della cinepresa, della fotografia, della sceneggiatura (ottima la penna di Andrew Kevin Walker), tutto asservito alla creazione di un’atmosfera cupa, incerta, in cui anche il nome della città in cui è ambientata la vicenda è un dato non conoscibile. Si è detto della fotografia: uno strumento davvero al servizio della narrazione. Darius Khondji, il direttore della fotografia (già collaboratore di Jeunet e Caro in Delicatessen), compie un’operazione di incupimento e di filtraggio della luce scenica per riverberare in questo modo il crescente senso di angoscia che il film instilla. Due poliziotti sono sulle tracce di un serial killer che uccide le sue vittime seguendo il percorso dei sette peccati capitali, ogni vittima rappresenta il peccato per cui ha ecceduto in vita e viene punita facendone un esempio, un simbolo di rinascita attraverso la purificazione della morte. I due poliziotti si renderanno presto conto che anche la loro indagine fa parte del diabolico piano del killer. Menzione speciale per la scena finale, una sequenza in cui Fincher gestisce magistralmente la suspence e la tensione che crescono esponenzialmente con il susseguirsi degli eventi.

Titolo originale: Se7en

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  1. massimiliano 11 Aprile 2021

    Senza Blade Runner, le luci e gli ambienti, lo stesso Fincher non sarebbe esistito. Buon film. Avvincente. Chi non lo ha visto, dovrebbe.

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