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Jack Torrance viene assunto come guardiano invernale presso l’Overlook Hotel, un grande albergo in una zona sperduta sulle Montagne Rocciose. Scrittore a tempo perso, decide di portare con sè la propria famiglia, sua moglie Wendy e suo figlio Danny di sette anni. Presto saranno completamente isolati e Jack subirà il velenoso sortilegio di quel luogo solitario e silenzioso. Anni prima infatti erano avvenuti misteriosi omicidi nella struttura e Jack s’imbatte sempre più spesso in strane apparizioni che sembrano far tornare l’hotel al suo antico fulgore: la grande Hall si anima di clienti e Jack in questa sorta di mondo parallelo provenuto dal passato può tranquillamente bersi un drink appoggiato al bancone del bar mentre il malizioso barman chiacchiera amabilmente con lui. Anche Danny s’imbatte nelle stesse visioni. Danny è un bambino speciale: è un sensitivo e ha il dono della doppia vista, riesce cioè a vedere le cose nascoste. Danny nei labirintici corridoi dell’Overlook vede spesso due gemelline che lo fissano intensamente. Un giorno passando davanti alla stanza 237 Danny ha un’orrenda apparizione e più tardi anche Jack, entrando nella stanza per controllare, vede una splendida donna nella vasca da bagno, liquefarsi letteralmente sotto le sue mani e putrefarsi. Jack è sempre più paranoico e gli eventi precipiteranno fino a convincerlo che sterminare la sua famiglia è la cosa giusta da fare. Nel frattempo Wendy avvicinandosi agli scritti di Jack sfoglia le pagine del suo romanzo per constatare con orrore che contengono soltanto il proverbio “All work and no play makes Jack a dull boy” (che nella versione italiana Kubrick ha mutato in “Il Mattino ha l’oro in bocca”) ripetuto all’infinito per tutte le pagine. La follia di Jack è ormai manifesta è la macabra danza finale può iniziare.

Kubrick si cimenta per la prima volta con il genere Horror e lo fa da par suo. A Kubrick l’aspetto demoniaco, esoterico importa relativamente: il vero orrore proviene dall’uomo, dal suo io frantumato in gesti seriali, disperso in una solitudine anecoica, annientato dalla paranoia. Le apparizioni sono costruzioni mentali di Jack che rivive i diabolici assassini avvenuti in quei luoghi grazie ad una follia conclamata che lo trascina in un loop mentale che non gli da scampo. Shining presenta numerosi tratti essenziali dell’estetica kubrickiana: la micidiale simmetria degli oggetti e delle inquadrature (il plastico del labirinto all’esterno, le forme geometriche della moquette nei corridoi, le inquadrature degli stessi corridoi sempre perfettamente simmetriche rispetto al punto di fuga centrale), la cura maniacale per l’ambientazione (gli interni furono ricostruiti a Londra), la perfezione formale registica.

Alcune scene si sono inoculate nell’immaginario collettivo come tatuaggi indelebili come lo squarcio nella porta in cui fa capolino un Nicholson demoniaco e sogghignante mentre è intento a sfondare la porta del bagno in cui si è rinchiusa Wendy. O ancora la scena già citata dell’abbraccio al corpo putrefatto della donna della camera 237. O ancora l’ascensore che aprendosi inonda il corridoio con un fiume in piena di sangue. Iconografia da cui è impossibile sottrarsi e che costituisce un archetipo con cui ogni regista deve prima o poi fare i conti.

Titolo originale: The Shining

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  1. massimiliano 11 Aprile 2021

    Errori ce ne sono. Non è vero che Kubrick è perfetto. Ma sono dettagli. Io mi accorsi dell'ombra dell'elicottero nella ripresa aerea iniziale, altri di altre cose ancora ( che non ho mai verificato). E' un grande film.

  2. Fulvio Cosentino 1 Agosto 2020

    Bhè, quella del sale nei pop corn, non è poi così banale... la inserirò nel mio NON romanzo incontinente. Buona sera da Locri City, R.C.

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