Stalker
Un uomo scavalca furtivamente un recinto nella notte. E’ uno Stalker, colui che conosce la strada e conduce i visitatori nella Zona, un luogo interdetto dalle Autorità dopo che al suo interno si sono verificati fatti che non hanno avuto spiegazione. Nella Zona esiste la Stanza, il posto dove i sogni possono trasformarsi in realtà, dove le domande ricevono risposte. Con lui viaggiano il Professore e lo Scrittore, due uomini alla deriva nel tumulto della vita, in cerca di una svolta. Il loro viaggio è una metafora della sete di conoscenza, tanto più si perdono punti di riferimento durante il cammino tanto più duro è raggiungere il sapere ultimo. Il paesaggio che attraversano è desolato, abbandonato, devastato da qualcosa di indefinibile. Un indolente languore avvolge ogni cosa depositando le spore dell’abbandono, della solitudine, dell’avvelenamento. Un altro grande film di Andrei Tarkovsky tratto da un racconto dei fratelli Strugatsky: oscuro, umbratile, diafano, dilatato e impercettibile, come un verso di Dylan Thomas sussurrato nella notte. Un tuffo a capofitto dentro i più oscuri meandri del sentire umano, di una realtà ostile e inconoscibile, di un malessere diffuso e ineludibile. Ma anche un tentativo di dare una spiegazione: “Cosa risuona in noi in risposta al rumore elevato ad armonia? E come si trasforma per noi nella fonte di un immenso piacere?”. Tarkovsky continua il suo viaggio dentro la Monade Uomo: da cosa siamo mossi, cosa ci spinge a proseguire, quali mete possiamo prefiggerci? Stalker è il complemento ideale di Solaris, l’uomo è solo davanti ai suoi incubi. Ma se in Solaris l’origine dell’incubo era emotiva, in Stalker è esclusivamente intellettuale: scorie neuronali con le quali l’uomo deve battersi per essere in grado di raggiungere la meta ultima.
Titolo originale: Stalker
Nolan qui deve tacere guardare e imparare. Ho fiducia in questo Nolan: saprà liberarsi della razionalità attraverso la poesia, il tempo lento della poesia, il non spiegato, il latente, che in questo film abbondano.