The Elephant Man
David Lynch è un giovane e promettente regista notato da Mel Brooks grazie alla sua surreale opera prima Eraserhead, La Mente Che Cancella, piccolo grande cult uscito nel 1977. Brooks decide di produrgli un secondo film dandogli la possibilità di realizzare il progetto a cui stava lavorando da tempo. Si tratta della riduzione cinematografica del libro di Frederick Treves, opera biografica sulla vita di John Merrick, individuo affetto da malattia rara con una vita a dir poco travagliata. Un film atipico nella poetica di Lynch dove visione e complessità semantica recitano di solito un ruolo di primo piano, una trama che presenta il forte rischio di indulgere nel pietismo. Un’opera dunque che si discosta dal suo linguaggio primario ma che appare ugualmente grandiosa per fotografia, grazie allo straordinario bianco e nero del direttore della fotografia Freddie Francis che dona alla storia una levigatezza unica. Si racconta la storia di John Merrick, affetto da neurofibromatosi che gli ha sfigurato i tratti del volto confinandolo in una tenda di un circo ambulante come principale attrazione. L’uomo è oggetto della svilente curiosità morbosa del pubblico fino a quando non viene preso in consegna da un chirurgo che si incarica di ricoverarlo nel London Hospital per studiare la sua patologia. Presto lo scienziato si renderà conto che la mostruosa maschera di carne cela umanità e sensibilità fuori dal comune. Un’opera di denuncia di Lynch verso la condizione abietta che i freaks debbono subire per soddisfare la turpitudine dei cosiddetti normodotati. Lynch riesce nell’impresa di non cadere nella trappola del pietismo ma rimane algido narratore e lascia che le emozioni seguano un loro naturale moto di traspirazione. Un film toccante, emozionante, palpitante nei suoi momenti di alto lirismo, ma mai retorico.
Titolo originale: The Elephant Man