Uccellacci e Uccellini
Pasolini ironico, sardonico, deliziosamente ilare, si dibatte in materie religiose e in tematiche misticheggianti con profonda sensibilità laica e colta. Il suo sguardo non è mai beffardo ma paterno, amorevole, affascinato. E i suoi personaggi sembrano usciti da una fiaba sbilenca dove Dio e Realtà sono misteriosamente uniti in uno spasmodico anelito di ricerca. Il Dio di Pasolini nasce dal feroce scarto tra risata picaresca e visione mistica, tra bonarietà popolana e ascetismo cristiano. Una sorta di condizione dell’animo in bilico tra superstizione e teologia, tra incanto e misticismo. E come canta un altre grande laico alla ricerca di Dio: “è bellissimo perdersi in questo incantesimo”.
Un padre e suo figlio sono reclutati nell’esercito celeste di San Francesco da un corvo parlante e iniziano il loro pellegrinaggio sulla terra villana e corrotta. Conosceranno le tristezze, le brutture e le angherie a cui sono sottoposti gli uomini semplici cercando di portare una parola di conforto. Una visione sempre focalizzata sull’implicazione sociale, un occhio sempre puntato sulla gente più umile da cui sale la vividezza del narrato, la sua più candida forma. Una denuncia attraverso le immagini e la naturale forza lirica che ne scaturisce, come spesso avviene nell’opera pasoliniana. Come nel Vangelo Secondo Matteo anche in Uccellacci Pasolini appare attratto dall’afflato mistico che sale dalla Santità per poi dirigere questa tensione celeste verso la terra e i suoi bisogni più contingenti, le sue vicende più meschinamente terrene. Totò spinge la sua arte nel tragico, nel comico, nel vaudeville, con una leggerezza che toglie il fiato. E lo spettatore rimane fatalmente irretito da tale candore, quasi come saggiare l’ineffabile grandezza di Dio attraverso il più umile dei suoi servitori.
Titolo originale: Uccellacci e Uccellini