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Tratto dal celebre romanzo di Dreiser “An American Tragedy” riesce ad eguagliarlo in denuncia sociale, lirismo emozionale e introspezione morale. Il protagonista è un giovane squattrinato che viene sedotto da una ricca ereditiera e si vede spalancato un mondo di sfarzo e opulenza che infiamma la sua ambizione di scalatore sociale. Ma la sua ex fidanzata gli annuncia la sua gravidanza e gli intima di sposarla. Il giovane durante una gita in barca medita di uccidere la ragazza ma all’ultimo istante si trattiene (si noti il parallelismo con Sunrise di Murnau). La ragazza per un malaugurato incidente cade fuori bordo e annega. Durante il processo un implacabile pubblico ministero tenterà di incastrare l’uomo e di condannarlo a morte. Un’opera emotivamente possente, pervasa da una costante tensione psicologica e impreziosita da un Montgomery Clift qui all’apice della sua carriera artistica. Sebbene Stevens sia più interessato alle implicazioni morali della storia in sè piuttosto che a stagliare ritratti di ogni singolo personaggio coinvolto in essa (in questo discostandosi da Dreiser che campì efficacemente il profilo psicologico degli attori della tragedia) ne esce un’opera che seppe impressionare inevitabilmente il pubblico (celebri le critiche alla scena del bacio troppo oscenamente lungo per i canoni del tempo) perseguendo di fatto l’obiettivo del regista.

Titolo originale: A Place in the Sun

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