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Quinta opera del regista iraniano Asghar Farhadi vincitrice dell’Orso d’Oro a Berlino. Un film che si rivela come un delicato affresco di un Iran sfibrato nelle connessioni emotive e nel tessuto sociale. E appunto questi due temi vengono portati avanti nel film con ambivalente focalizzazione: da un lato lo sgretolamento del rapporto coniugale tra il protagonista e la indipendente moglie che desiderando espatriare si separa dal marito, dall’altro la kafkiana vicenda giudiziaria che lo vede implicato per aver (o NON aver) spinto la badante del padre malato facendola cadere dalle scale e perdere il bambino che portava in grembo. Una vicenda filmata e raccontata con una sobrietà veristica ma con un taglio inquietante che serpeggia lungo la spina dorsale della narrazione rendendola indecifrabilmente instabile, quasi una non perfetta messa a fuoco di una banale inquadratura che meriterebbe ben altra esposizione focale. Le due vicende si intrecciano fino a tessere il ritratto di un Paese dilaniato tra le forze occidentali di modernizzazione e l’oppressivo catafalco della tradizione. Una storia avvincente, mai tediosa, che ci racconta di un Paese lontano e delle sue ineludibili contraddizioni.

Titolo originale: Jodaeiye Nader az Simin

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  1. massimiliano 10 Aprile 2021

    mi era piaciuto, ma non mi è rimasto.

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