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Il poster e il trailer di The Manchurian Candidate avvertivano lo spettatore che se avesse perso i primi cinque minuti del film, non avrebbe capito nulla della storia, e se l’avesse visto per intero avrebbe assistito a qualcosa di mai visto prima. Questo si può dire sia uno dei rari casi in cui la promozione di un film sia vicina alla verità. E per certi versi non esiste sintesi migliore del cinema di John Frankenheimer, tra apparizioni intriganti e verità sconcertanti, in cui il taglio psicologico sovverte completamente il canone classico di narrazione. Come in tutti gli altri grandi film di Frankenheimer (L’uomo di Alcatraz, Operazione Diabolica, Il Treno) il crimine da narrare è prima di tutto quello nella testa di chi lo vuole commettere, quando è ancora in fase germinale, seguendone tutta la genesi. È un cinema mutante e non classificabile, ovviamente all’avanguardia, sulla soglia del profetico. The Manchurian Candidate (che nella versione italiana diviene l’orribile Va’ e Uccidi, ma in quella francese diviene Un Crime dans la tête, Un Crimine nella Testa, cogliendone a pieno il paradigma semantico) uscì nei cinema nell’ottobre del 1962 negli Stati Uniti, poco più di un anno prima dell’assassinio di John F. Kennedy. Ma come non collegare il terribile evento di Dallas a questo film paranoico in cui alcuni veterani americani, di ritorno dalla guerra di Corea (le immagini del Vietnam non sono poi così lontane), sono stati lobotomizzati dal nemico sovietico e trasformati in assassini pilotati a distanza, destinati ad assassinare un candidato presidenziale. Tutta l’America paranoica degli anni sessanta è già qui. Tutto il retaggio maccartista e poi Hooveriano si concentra in questa tematica.

Tratto da The Manchurian Candidate di Richard Condon il film narra la storia di un veterano della guerra di Corea che fa ritorno a casa dopo aver subito un condizionamento mentale da parte del regime comunista di quel Paese, con l’appoggio dell’eterno nemico russo. La sua missione occulta sarà di realizzare un attentato politico atto a sovvertire il Paese. Un ufficiale (Frank Sinatra) tornato dalla Korea e anch’egli sottoposto a condizionamento, aiuterà a dargli la caccia e a fermarlo. Il piano del Reale viene continuamente sovvertito: in una continua allucinazione in forma di Flash Back i personaggi rivivono il proprio condizionamento, e lo spettatore non riesce mai a capire dove risieda la verità. I funzionari comunisti (cinesi, nordcoreani, sovietici) che partecipano alla manifestazione (un’esposizione pubblica dei prigionieri ipnotizzati), a volte si trasformano in ricchi borghesi interessati ad un convegno di botanica che si sovrappone continuamente alla scena del condizionamento contribuendo a fomentare un’inquietudine palpabile. Il risultato è incredibilmente brillante dal punto di vista narrativo, al limite del grottesco, perché Frankenheimer riesce in sostanza a transitare da un’atmosfera all’altra con un singolo movimento della cinepresa. Anche le figure negative che appoggiano la congiura dall’interno appaiono come Demiurghi in grado di tirare i fili di questi uomini privati di volontà e coscienza. In una scena a dir poco geniale una splendida Angela Lansbury incombe come Destino Ineluttabile sul Killer apparentemente ipnotizzato, ghermendolo con parole ora suadenti ora terribilmente imperative, avvicinandosi a lui come une pensiero che si insinua nella mente per farne macerie.

Molto interessante anche il lavoro drammaturgico compiuto con consumato mestiere da George Axelrod nell’adattare il romanzo al grande schermo. Grazie al suo lavoro il film conserva quell’atmosfera di psicodramma che ne costituisce l’essenza. Lo spettatore viene condotto per mano attraverso i misteri della mente umana e viene reso edotto come questa possa venire stravolta da una riprogrammazione malevola tale da volgere in un nemico chiunque. Ed è proprio questa angoscia sotterranea che mina le fondamenta dello stile di vita americano. Un sentimento sfuggente che diviene la chiave di lettura per l’opera che più di ogni altra ha saputo restituire il senso ultimo della paranoia collettiva instauratasi durante gli anni della Guerra Fredda.

Titolo originale: The Manchurian Candidate

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