In questa sesta puntata della dodicesima stagione di Viaggio nella Luna Marco ci parla di un film in uscita nelle sale proprio in questi giorni. Giurato nr. 2 di Clint Eastwood.

Clint Eastwood, a 94 anni, torna dietro la macchina da presa con un legal drama che si interroga sulla fragilità della verità e sul peso delle scelte individuali. Ispirandosi a classici del genere come 12 Angry Men e Il buio oltre la siepe, Eastwood ci consegna un film teso e introspettivo, che scava a fondo nella psicologia del protagonista, Justin Kemp (Nicholas Hoult), un giovane padre di famiglia tormentato da un segreto che potrebbe ribaltare le sorti di un processo per omicidio.

Justin Kemp viene selezionato come giurato in un processo per omicidio a Savannah, Georgia. Mentre il caso si dipana, Justin realizza con orrore di essere coinvolto nell’incidente che ha causato la morte della vittima, avendo investito una donna con la sua auto un anno prima. Diviso tra il senso di colpa e la paura delle conseguenze, Justin si trova di fronte a un dilemma morale: rivelare la verità e affrontare la giustizia o manipolare il processo per far assolvere l’imputato e proteggere se stesso? La sua decisione lo porterà a confrontarsi con la propria coscienza, mettendo in discussione la sua integrità e il suo senso di responsabilità.

La sceneggiatura di Jonathan Abrams, intessuta di riferimenti a grandi pensatori come Festinger, Freud e Kohlberg, costruisce un dilemma morale complesso e avvincente. Justin, intrappolato in una spirale di dissonanza cognitiva, cerca di espiare il proprio senso di colpa manipolando il processo, oscillando tra l’obbedienza alle norme sociali e la ricerca di una giustizia superiore.

In particolare nel film si evidenziano questi temi cari a certa parte della letteratura psicologica:

Dissonanza cognitiva: Justin si trova in una situazione di forte dissonanza cognitiva, ovvero un conflitto tra le sue conoscenze (sa di aver causato l’incidente), le sue emozioni (senso di colpa, paura) e i suoi comportamenti (il tentativo di manipolare il processo). Questa dissonanza genera in lui un profondo malessere psicologico e lo spinge a cercare di razionalizzare le proprie azioni, anche a costo di distorcere la realtà.

Senso di colpa e bisogno di espiazione: Il senso di colpa per l’incidente e la paura delle conseguenze lo tormentano. Inconsciamente, Justin cerca di espiare la propria colpa manipolando il processo per far assolvere l’imputato, quasi a voler “bilanciare” il suo errore con un atto di giustizia.

Influenza sociale e conformismo: Nonostante i suoi dubbi, Justin si lascia influenzare dalle opinioni degli altri giurati e dal clima generale del processo. Questo meccanismo di conformismo, studiato da psicologi sociali come Solomon Asch, lo porta a mettere in discussione le proprie percezioni e a conformarsi al gruppo, anche se questo significa negare la verità.

Meccanismi di difesa: Per gestire l’angoscia e il senso di colpa, Justin mette in atto diversi meccanismi di difesa, come la negazione (inizialmente rifiuta di credere di essere coinvolto nell’incidente), la razionalizzazione (cerca di giustificare le proprie azioni) e la proiezione (attribuisce all’imputato la responsabilità dell’incidente).

Moralità e sviluppo morale: La sceneggiatura esplora anche il concetto di moralità e le diverse fasi dello sviluppo morale, secondo le teorie di psicologi come Lawrence Kohlberg. Justin si trova a dover affrontare un conflitto tra il suo stadio di sviluppo morale convenzionale (basato sul rispetto delle leggi e delle norme sociali) e un possibile stadio post-convenzionale (basato su principi etici universali).

Psicologia della testimonianza: Il film tocca anche la psicologia della testimonianza, mostrando come la memoria e la percezione degli eventi possano essere influenzate da fattori emotivi e contestuali.

In particolare il tema della la dissonanza cognitiva è un tema centrale in Giurato Numero 2 e la sceneggiatura sembra attingere a piene mani dalle teorie di Leon Festinger, psicologo sociale che ha formulato questa teoria negli anni ’50. Festinger, nel suo libro “A Theory of Cognitive Dissonance” (1957), ha spiegato come le persone tendano a mantenere una coerenza interna tra le proprie credenze, i propri atteggiamenti e i propri comportamenti. Quando si verifica una discrepanza tra questi elementi, si genera uno stato di disagio psicologico (dissonanza) che spinge l’individuo a cercare di ristabilire l’equilibrio.

Nel caso di Justin, la dissonanza nasce dal conflitto tra la consapevolezza di aver causato l’incidente e il desiderio di non affrontare le conseguenze delle proprie azioni. Per ridurre questa dissonanza, Justin cerca di convincersi che non è stato lui il responsabile, che l’incidente è stato solo una tragica fatalità e che l’imputato è in realtà colpevole.

Oltre a Festinger, altri pensatori che hanno influenzato i temi psicologici del film sono:

Elizabeth Loftus: Le sue ricerche sulla memoria e sulla psicologia della testimonianza hanno evidenziato come i ricordi possano essere fragili e malleabili, soggetti a distorsioni e influenze esterne. “Giurato Numero 2” tocca questo tema mostrando come la percezione degli eventi e la memoria di Justin possano essere influenzate dal trauma e dal senso di colpa.

Sigmund Freud: Le teorie di Freud sui meccanismi di difesa, come la negazione, la razionalizzazione e la proiezione, sono evidenti nel comportamento di Justin. Freud ha spiegato come questi meccanismi inconsci aiutino le persone a gestire l’ansia e a proteggere l’Io da conflitti e impulsi inaccettabili.

Lawrence Kohlberg: La sua teoria dello sviluppo morale, che descrive le diverse fasi del ragionamento morale, è sottesa al dilemma di Justin. Kohlberg ha individuato sei stadi di sviluppo morale, che vanno dall’obbedienza alle regole per evitare punizioni (stadio pre-convenzionale) all’adesione a principi etici universali (stadio post-convenzionale). Justin sembra oscillare tra uno stadio convenzionale, in cui cerca di conformarsi alle norme sociali e alle aspettative degli altri giurati, e uno stadio post-convenzionale, in cui inizia a mettere in discussione la giustizia del processo e la validità delle leggi.

Solomon Asch: I suoi esperimenti sull’influenza sociale e il conformismo hanno dimostrato come le persone tendano a conformarsi alle opinioni del gruppo, anche quando queste sono palesemente errate. Nel film, Justin si lascia influenzare dagli altri giurati, mettendo in discussione le proprie percezioni e i propri dubbi.

In definitiva il film offre un interessante spaccato della psicologia umana, mostrando come i processi mentali e le emozioni possano influenzare le nostre azioni e le nostre decisioni, soprattutto in situazioni di forte stress e pressione sociale.

Eastwood dirige con la consueta maestria, creando un’atmosfera di tensione crescente attraverso inquadrature precise e una narrazione asciutta, priva di fronzoli. Hoult offre un’interpretazione intensa e convincente, trasmettendo con grande efficacia il tormento interiore di un uomo in bilico tra la legge e la morale.

Tuttavia, il film non è privo di difetti. In alcuni punti la narrazione rallenta, perdendo un po’ di mordente, e il finale, pur efficace, avrebbe potuto essere più incisivo.

Nonostante qualche piccola imperfezione, “Giurato Numero 2” si conferma un’opera solida e riflessiva, che conferma il talento di Eastwood nel raccontare storie di uomini comuni alle prese con scelte difficili. Un film che ci interroga sulla natura della giustizia, sulla fragilità della memoria e sul potere della coscienza, lasciandoci con domande che riecheggiano a lungo nella mente dello spettatore.

Poi Checco per la sua rubrica “Un Classico da rispolverare” ci parla di un grande film del passato: Il Bacio della Pantera (1942) di Jacques Tourneur. Il film è un capolavoro dell’horror psicologico che si distingue per la sua atmosfera suggestiva e inquietante. Attraverso l’uso sapiente delle ombre, del fuori campo e di una colonna sonora evocativa, Tourneur crea un senso di tensione costante, esplorando le paure represse e gli istinti primordiali dei personaggi. La storia di Irena, tormentata dalla leggenda della pantera che si dice si celi nella sua stirpe, è un’allegoria affascinante sulla sensualità femminile, la paura del diverso e il conflitto tra natura e cultura. Pur con un budget limitato, Tourneur realizza un film di grande impatto visivo ed emotivo, che ha influenzato generazioni di registi e continua ad affascinare gli spettatori con la sua eleganza formale e la sua potenza simbolica.

Infine Federico ci parla di un film che non gli è piaciuto. Immaculate (2022) di Michael Mohan, nonostante un’interessante premessa di partenza, si rivela un horror deludente e prevedibile. La storia di una giovane incinta costretta a rifugiarsi in un convento gestito da suore sinistre manca di originalità e suspense, riciclando cliché del genere senza apportare nulla di nuovo. La regia piatta e priva di guizzi non riesce a creare un’atmosfera inquietante, mentre la sceneggiatura si affida a jump scare gratuiti e a svolte narrative scontate. Le interpretazioni sono mediocri e i personaggi poco approfonditi, impedendo allo spettatore di empatizzare con le loro vicende. Nel complesso, Immaculate è un’occasione sprecata, un film che non riesce a sfruttare il potenziale della sua ambientazione claustrofobica e della sua tematica religiosa, risultando un prodotto dimenticabile e poco incisivo.

Ma c’è tanto altro in questo concentrato di Logos che chiamiamo podcast, e allora perchè non ascoltarselo per bene?

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