In questa terza puntata di Viaggio nella Luna (stagione 12) Marco ci conduce in un affascinante viaggio attraverso le differenze che contraddistinguono il cinema americano da quello europeo. assumendo come punto di partenza il film Speak No Evil, thriller psicologico che ha fatto discutere per le sue scelte narrative e stilistiche, comparandone le due versioni, quella americana (2024), a firma di James Watkins, e quella europea (2022), diretta dal regista danese Christian Tafdrup che ne ha curato anche la sceneggiatura.

Le due versioni di Speak No Evil offrono visioni marcatamente diverse della stessa storia. Ma cosa ci svela questo confronto? Quali sono le caratteristiche distintive del cinema prodotto ai due lati dell’Atlantico?

Innanzitutto, è evidente come le aspettative del pubblico influenzino profondamente le scelte narrative. Il cinema americano, con la sua lunga tradizione di blockbuster e finali risolutivi, tende a privilegiare un approccio più lineare e prevedibile, mentre il cinema europeo spesso si concede maggiori libertà narrative, lasciando al pubblico uno spazio più ampio per l’interpretazione.

Anche i temi universali come l’amicizia, la famiglia e la fiducia vengono affrontati in modo diverso. Il cinema americano, con la sua tendenza a idealizzare le relazioni umane, spesso presenta storie a lieto fine, mentre il cinema europeo non esita a esplorare le sfumature più oscure della psiche umana.

E cosa dire dello stile visivo? La fotografia, la colonna sonora, il montaggio: tutti elementi che contribuiscono a creare un’atmosfera unica e a immergere lo spettatore in mondi narrativi differenti. Il cinema americano, con i suoi budget più elevati, spesso punta su effetti speciali spettacolari e su un’estetica più levigata, mentre il cinema europeo predilige un approccio più realistico e intimista.

Ma le differenze non si limitano allo stile. Anche il genere horror viene declinato in modo diverso nei due continenti. L’horror americano, con le sue radici nella letteratura gotica e nei film espressionisti tedeschi, spesso si concentra sul sovrannaturale e sul macabro, mentre l’horror europeo, influenzato dalle tradizioni popolari e dalle avanguardie artistiche, tende a esplorare le paure più profonde dell’animo umano.

Tutto ciò ci porta a riflettere sul ruolo della cultura nazionale nel cinema. I valori, le identità, le storie che caratterizzano un paese influenzano inevitabilmente le scelte dei cineasti. Il cinema americano, con la sua vocazione universalista, tende a produrre film che possano piacere a un pubblico globale, mentre il cinema europeo, più legato alle proprie radici, spesso esplora tematiche più specifiche e personali.

Ma quali sono le implicazioni di queste differenze? Da un lato, la diversità è un valore da preservare, in quanto ci permette di scoprire nuovi modi di raccontare storie e di ampliare i nostri orizzonti culturali. Dall’altro, la globalizzazione e la diffusione delle piattaforme di streaming stanno portando a una crescente omogeneizzazione dei prodotti culturali, con il rischio di perdere le specificità di ciascuna cultura cinematografica.

In conclusione, il confronto tra le due versioni di Speak No Evil ci ha offerto l’opportunità di riflettere sulle profonde differenze che caratterizzano il cinema americano ed europeo. Due mondi che, pur avendo molto in comune, conservano una propria identità e continuano a offrirci esperienze cinematografiche uniche, ciascuna secondo la propria declinazione, ovviamente.

Federico ci parla poi di un film conturbante: Men di Alex Garland (2022). Il regista ci immerge in un’esperienza cinematografica inquietante e viscerale, dove la natura, apparentemente idilliaca, si rivela un’entità oscura e minacciosa.

La campagna inglese, scenario principale del film, è dipinta con una bellezza quasi surreale. Campi verdi, boschi rigogliosi e un cielo terso creano un’atmosfera di apparente tranquillità. Tuttavia, questa bellezza è ingannevole. La natura in “Men” è un personaggio a sé stante, un’entità primordiale che riflette e amplifica le paure e le ossessioni della protagonista, Harper.

Garland gioca con l’idea di una connessione profonda e disturbante tra l’uomo e l’ambiente circostante. La natura, in questo caso, diventa uno specchio delle interiorità di Harper, amplificando i suoi traumi e le sue angosce. La natura, spesso associata al femminile, viene rappresentata in modo ambivalente. Da un lato, è una forza generatrice e nutriente, ma dall’altro, può essere anche distruttiva e vendicativa. Questa dualità riflette la complessità della psiche femminile e le sue contraddizioni.

La natura è anche un’allegoria del patriarcato. Le creature maschili che perseguitano Harper sono profondamente radicate nella terra, come se fossero delle manifestazioni della violenza maschile insita nella natura stessa.

L’estetica visiva di “Men” è fondamentale per trasmettere il senso di disagio e di disorientamento. Immagini distorte, colori saturi e una fotografia cupa contribuiscono a creare un’atmosfera claustrofobica e opprimente.

La natura, inizialmente idilliaca, si trasforma gradualmente in un incubo. Paesaggi onirici e creature mostruose si fondono, creando un’esperienza visiva surreale e disturbante. Il corpo femminile di Harper diventa un campo di battaglia, un luogo dove si manifestano le paure e le ossessioni dell’inconscio. La natura, in questo caso, si intromette nel corpo femminile, violandone i confini.

Men è un film che non lascia indifferenti. È un’opera complessa e sfaccettata, che invita lo spettatore a riflettere su temi importanti come il trauma, la mascolinità tossica e il rapporto tra l’uomo e la natura. L’estetica della natura, in questo film, è uno strumento potente per esplorare le profondità dell’animo umano e le sue più oscure paure.

Infine Checco per il suo classico da rispolverare ci parla di Festen di Thomas Vintenberg, un film dove etica ed estetica si fondono per dar vita ad un dramma famigliare dalle tinte inquietanti, il tutto aderendo alla lettera ai vincoli di Dogma 95, il decalogo che un gruppo di registi tra cui Lars Von Trier e lo stesso Vinterberg si diedero per una rinascita culturale ed estetica del cinema europeo.

Durante una festa di compleanno, un’accusa sconvolgente getta una famiglia rispettata nel caos. Vinterberg, con uno stile crudo e realistico, svela le ipocrisie e le ferite profonde che si nascondono dietro le facciate perfette. Il film è un pugno nello stomaco, che ci costringe a confrontarci con temi difficili come l’abuso, il tradimento e la vergogna. La regia è intensa, i dialoghi sono taglienti e le interpretazioni sono magistrali. Un’opera che lascia il segno e che ci invita a riflettere sul peso del passato e sull’importanza della verità. Un capolavoro che mette a nudo le fragilità umane e le dinamiche familiari, con un impatto emotivo devastante.

Per questo e per molto altro potete far riferimento al podcast qui sotto, buon ascolto!

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