The Fabelmans: un atto d’amore per la Settima Arte
Nuova puntata di Viaggio nella Luna, si inizia con il doveroso omaggio a Jack Nicholson dopo le ferali notizie circa il suo stato di salute che non gli permette più nè di lavorare nè di interagire con il mondo. Sono decine i personaggi e i ruoli che questo magistrale attore ha ricoperto durante la sua carriera. Partono quasi automaticamente i contributi audio tratti da Shining e Qualcuno volò sul Nido del Cuculo ma anche da Codice d’Onore e Easy Rider, tutte perle cinematografiche di un personaggio che ha dominato le scena cavalcando un impetuoso carisma unito ad un talento leggendario.
Esaurita la parentesi dedicata a Jack Nicholson, Marco ci racconta la sua visione di The Fabelmans, il nuovo film di Steven Spielberg uscito in questi giorni nelle sale italiane. Come già per Quentin Tarantino con C’era una volta a Hollywood anche The Fabelmans per Spielberg rappresenta un vero e proprio atto d’amore per la Settima Arte. Si aggiunga che oltre a questo c’è la declinazione autobiografica della storia che lo rende introspettivo e disincantato. Attraverso le vicende della famiglia Fabelman seguiamo la genesi dell’amore per il cinema nel giovane Sam che nasce come un virgulto e viene nutrito durante l’adolescenza con un appassionato esercizio della cinepresa, prima Super 8 e poi 16 millimetri. Sullo sfondo le vicende familiari con la loro parata di protagonisti: il carattere pacato e razionale del padre che fa da contraltare a quello impetuoso e creativo della madre. E ancora: il divorzio che segna profondamente il giovane mettendolo dinanzi a dolorose scelte. Una scena su tutte vale a descrivere il film: l’incontro finale con John Ford. Un giovanissimo Sam viene introdotto all’ufficio del leggendario regista (interpretato nientemeno che da David Lynch) il quale lo inquadra ferocemente mentre è alle prese con l’interminabile accensione di un enorme sigaro. Da dietro la brace e le spire di fumo si intravede l’occhio indagatore di Ford che soppesa il ragazzo di fronte a lui. Poi lo spedisce ad osservare due quadri appesi nel suo ufficio facendogli una sola domanda: dov’è l’orizzonte? Perchè? “Perchè se l’orizzonte è in alto o in basso è interessante, al centro è noioso come la merda! Hai Capito? Ora buona fortuna e togliti dalle palle!”. Sipario. Apoteosi.
Thomas ci parla di M3gan il nuovo film targato Universal pictures e Blum house, casa di produzione ormai nota a molti soprattutto per le sue pellicole horror, e co sceneggiato e prodotto anche da James Wan, noto per la saga di Saw, Insidious e The conjuring. Mentre la regia è affidata a Gerard Johnstone, qui alla sua seconda opera.
La storia ci parla di Cady, una bambina che viene affidata alla zia materna Gemma a seguito della morte di entrambi i genitori durante un incidente d’auto da cui lei è uscita fortunatamente illesa.
Non sapendo come badare la nipote, anche a causa degli impegni lavorativi (Gemma lavora per un importante azienda produttrice di giocattoli) decide di affidarla alle cure di Megan, un nuovo prototipo di bambola robot a cui sta lavorando. In poco tempo il rapporto tra la bambina e la “bambola” cresce esponenzialmente portando Megan ad essere esageratamente protettiva nei confronti dell’amica.
Quando si guarda un film prodotto da James Wan bisogna sempre stare sul “Chi va là”, a differenza di quando li dirige, ma bisogna ammettere che il regista Malese ci ha abituati a produzione nettamente peggiori.
M3gan è una commedia horror piacevole e gradevole, con interessanti sottotesto legati alla tecnologia e soprattutto al rapporto che i più giovani hanno con essa, lasciando intendere però che il problema è chi, però, fa sì che questa tecnologia finisca tra le loro mani. Impossibile non parlare anche del mondo del business e del marketing, di cui noi comuni mortali paganti conosciamo veramente poco, e che in questo film viene dipinto nel peggiore dei modi (se pur in modo molto soft) con addetti ai lavori e grandi capi ben poco interessati ad altro che non sia il mero profitto, rapporti umani inesistenti e “amicizie” fatte di falsi sorrisi, un vero mondo di squali. Nonostante ciò “M3gan” non è un film perfetto. Purtroppo è una pellicola molto “telefonata”, il suo sviluppo è chiaro dalla prima sequenza, e la discesa nella follia omicida di Megan, ad un certo punto, diventa assolutamente gratuita. In definitiva è un film divertente che scorre bene per la sua ora e quaranta.
Infine, Fede pone il sigillo a questa nona puntata parlandoci di A pale blue eye – i delitti di West Point, ultimo lavoro di Scott Cooper, già regista di “Crazy heart”, “Black mass”, “Hostiles” e “Antlers”. Il film, adattamento del libro omonimo di Louis Bayard, ci proietta nel 1830, dentro alla neo inaugurata accademia militare di West Point di New York, dove un cadetto viene ritrovato impiccato in circostanze molto strane, viene infatti rinvenuto con le punte dei piedi che poggiano a terra. L’autopsia, condotta dal dott. Marquis, medico dell’Accademia (Toby Jones), svelerà un particolare brutale: al cadetto Fry è stato asportato il cuore con incredibile precisione. Quindi, all’interno di una gelida quanto bluastra cornice invernale, per evitare danni irreparabili, l’accademia si rivolge alla proverbiale arguzia di Augustus Landor, un detective locale di cui veste i panni il sempre impeccabile Christian Bale, che qui collabora per la terza volta col regista.
Per dirimere il mistero, Landor dovrà servirsi di un appoggio dentro l’accademia, che ben presto si sostanzierà nel giovane cadetto Edgar Allan Poe, che non è un omonimo, bensì quello che di lì a poco entrerà a far parte del novero dei più celebri scrittori della storia. A recitare nei panni del giovane Poe (che peraltro vecchio non è stato, in quanto morto a 40 anni per cause mai chiarite) è stato chiamato Harry Melling, che ci regala un’interpretazione ficcante, delineando con le sue capacità un personaggio veramente credibile, fatto di fragilità, genio degno di un “savant” ed incredibile intuito. Ben presto l’assassinio di Fry non sarà né il primo né l’ultimo, in un divenire di eventi chevrichiamano alla memoria la livida cornice de “Il nome della rosa” di Annaud, Landor e Poe si troveranno risucchiati in un vortice di eventi dove niente è come sembra, con un plot twist forse inaspettato, forse no, tutto dipende dalle capacità di osservazione dello spettatore, che ovviamente si ritroverà a recitare in qualità di terzo detective. “The pale blue eye” è un giallo con venature thriller-horror molto ben confezionato in ogni suo comparto, con una sceneggiatura estremamente solida e stratificata dove tutto torna. Da segnalare un cast stellare, difatti assieme a Bale, Melling e Jones, completano l’organico Timothy Spall, Charlotte Gainsbourg, Gillian Anderson e Lucy Boynton. Non ultimo, un inaspettato cameo del 92enne Robert Duvall, giunto al suo 146mo film da attore.
Di seguito il podcast in cui troverete tutto questo, godetevelo!
Podcast: Play in new window | Download
Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall’età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell’ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall’età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d’asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.