THE MANDALORIAN STAGIONE 2: tra John Ford e Sergio Leone – la recensione delle prime quattro puntate
La nuova serie di Mandalorian sviscerata puntata per puntata.
È stato uno dei titoli più attesi, la punta di diamante della Disney con cui ha potuto far un lancio con i controfuochi della piattaforma streaming Disney Plus. The Mandalorian, il miracolo produttivo della coppia Dave Filoni/John Favreau, non solo a spopolato con la prima stagione, ma con questa seconda, tutt’ora in onda, sta confermando e amplificando il suo successo. Ne abbiamo parlato varie volte in radio (recuperate i podcast qui) e ne parleremo ancora, ma ora ne approfondiremo la serie puntata per puntata. In questo primo articolo un recap per recuperare il tempo perduto.
Una serie da western
Andiamo con ordine: nella prima stagione di The Mandalorian abbiamo seguito le vicissitudini del bounty hunter mandaloriano Din Djarin noto a tutti come “Mando”, il quale si ritrova a dover proteggere un neonato molto particolare. Infatti il neonato appartiene alla misteriosa razza del maestro Jedi Yoda. Deciso a proteggerlo Mando lo tiene con se, attirando le attenzioni di imperiali e malviventi di ogni razza. Questa seconda stagione riparte proprio da qui, con il mandaloriano deciso a riportare il piccolo “baby yoda” a casa o in un posto che possa essere tale.
Se Star Wars era il cappa e spada con le spade laser, The Mandalorian è il grande west con i blaster. Questa stagione, più della prima, riprende i classici del cinema americano e lo fa suo, trasponendolo in chiave moderna riuscendo così ad abbracciare una vasta fetta di pubblico, perché se da una parte abbiamo tutto ciò che piace al fandom di Star Wars dall’altra abbiamo tutto ciò che serve per attirare chi non conosce la saga proprio grazie ad una struttura ed a meccaniche consolidate e ben immagazzinate nell’inconscio di tutti noi. I due showrunner Filoni e Favreau ci mostrano una galassia polverosa, sporca e di frontiera simile agli scenari di Ford, Boetticher o comunque al western classico americano in generale.
Gli episodi
Nel primo episodio, scritto e diretto da John Fevreau stesso, abbiamo il nostro madaloriano (il cowboy solitario) che arriva sul pianeta di Tatooine (il west). Qui si ritroverà a aiutare lo sceriffo di un piccolo villaggio contro un enorme mostro che imperversa nella regione. Per far ciò chiedono aiuto ai sabbipodi (gli indiani) e insieme, nonostante la reticenza dei due popoli nemici, riescono a unirsi e sconfiggere il nemico comune. L’impostazione è puro west classico con tanto di entrata nel villaggio con le case ai due lati della strada principale e la gente che impaurita guarda lo straniero che a cavallo della suo speedbike attraversa l’unica via del paese. La struttura narrativa della puntata, così come delle altre è molto semplice, una narrazione direi orizzontale dove l’avanzamento della trama è minimo e minimale lasciando l’attenzione sull’eroe che di puntata in puntata, di volta in volta arriva in un nuovo pianeta alla ricerca del suo obbiettivo, qui gli chiedono aiuto e una volta sistemante le faccende riparte come un cowboy solitario.
Per la seconda puntata la regia passa a Peyton Reed, regista nuovo per questo show ma consolidato nella famiglia Disney e scritto sempre da Favreau. L’episodio inizia proprio da dove finisce la prima, qui vediamo Mando dover scortare una donna e il suo prezioso carico di uova da fecondare. In questo secondo episodio, pur mantenendo la logica del serial west televisivo, lasciamo i colori caldi e il west per andar a pescare nell’immaginario di Alien o de La Cosa. Passiamo dai grandi spazi della prima puntata agli stretti alloggi della Rezor Crest o alle anguste caverne. Una puntata non propriamente da camera, ma sicuramente ambientata in quasi interamente in un unica location. Forse il più debole dei quattro, anche se aggiungono un elemento importante che nella prima stagione era totalmente assente, ovvero la Nuova Repubblica.
Il terzo episodio vede il ritorno alla regia di Bryce Dallas Howard e scritta da Favreau: anche qui abbiamo un inizio in medias res con Mando che atterra in maniera rocambolesca nella luna di Task. Congedatasi della passeggera, Mando va alla ricerca di altri mandaloriani come lui. Qui incontrerà Bo-Katan Kryze, la quale darà a Mando le info che lui cerca solo richiedendo in cambio un aiuto da lui. Questa puntata, più delle due precedenti, riprende in mano la trama e la porta avanti. Ancora una volta cambiamo scenario questa volta mare e pioggia (forse per la prima volta nella sega) portandoci in un porto di pescatori dove minacce e pericolo si aggirano ovunque. La regista si rivela molto abile a gestire le scene d’azione considerando che da una buona metà dell’episodio l’action diventa la formula principale con un vero e proprio assalto al treno.
Il quarto episodio è diretto da Carl “Apollo Creed” Weathers e scritto ancora una volta da Favreau. Mando torna sul pianeta di Navarro dove incontra i suoi vecchi amici e alleati Griff Carga e Kara Dune. Questo episodio si rivela essere fino ad ora il più spettacolare della serie grazie ad una lunga scena di inseguimento. Notevoli qui (come in tutta la serie del resto) le citazioni alla saga originale e alla prima stagione (non svelo nulla voglio vedere se i più accorti notano), ma sopratutto notevole la capacità di Weathers di muoversi dietro l’obbiettivo, anche se la contaminzione di Dave Filoni resta molto evidente.
The Mandalorian tra Leone e Ford
se la storia segue le orme tracciate dai grandi maestri del cinema americano, i personaggi son più che mai legati all’immaginario del nostro Sergio Leone a partire dal protagonista che, come un novello Clint Eastwood, si permea di grandi silenzi e movimenti del corpo minimali, lenti contrapposti ad una grande velocità che applica nelle sene d’azione. I comprimari sono brutti, sporchi, rozzi e cattivi come gli uomini di frontiera di Leone, così come la violenza da loro perpetrata (per quanto lo possano esserlo in un film Disney). Non troviamo personaggi del tutto buoni o del tutto cattivi, basti pensare al protagonista che per vivere uccideva gente.
Filoni e Favreau sono prima di tutto fan e questo ben si vede, hanno avuto la brillante capacità di assemblare un prodotto innovativo per gli standard di Star Wars, ma con una serie di strutture narrative che ben conosciamo. Come se ci prendessero per mano a mostrarci un mondo che ci sembrava nuovo, mettendoci a proprio agio mostrandoci tutto quello che vorremmo vedere da fan e facendoci capire che dopotutto non siamo in un posto così diverso da quello che abbiamo sempre viso fino ad allora.
Ognuno ovviamente lo fa a modo suo, Favreau con la sua grande capacità di tecnico grazie all’esperienza pregressa in Disney con i discutibili adattamenti dei suoi classici. Filoni invece si dimostra un enorme conoscitore della saga e dei segreti di Star Wars. Qui ha la capacità di creare una continuità di stile e visiva impressionante, si vedano i vari collegamenti diretti con Clone Wars piuttosto che la struttura delle scene di combattimenti aerei, i quali riprendono moltissimo lo stile visivo di Clone Wars e Rebels.
Queste prime quattro puntate ci hanno portato in una galassia lontana lontana che in fondo si è dimostrata molto più familiare del previsto. Vediamo le prossime puntate come si presentano.
Ci vediamo domenica prossima. Buon cinema a tutti.
regista/proiezionista/cinefilo/nerd