Esatto, avete capito bene, come il Messia. Ovviamente coloro che attendono spasmodicamente questa serie tv targata Mamma Disney sono i fan di Star Wars italiani, perchè in USA è già uscita e sì, i vostri viaggiatori lunari, l’hanno vista per voi, o almeno le prime due puntate.

Il creatore della serie, Jon Favreau, ha tratto una miriade di ispirazioni per l’incipit della sua storia (e forse per il suo futuro svolgimento) da The Clone Wars, e non solo a livello narrativo ma anche estetico. Una sequenza di flashback all’interno del primo episodio è infatti così energica e l’uso del colore così abile che sembra provenire dalla serie animata e fa subito balzare dalla sedia il fan più accanito dell’universo SW. Mai come dal termine de “Il Ritorno dello Jedi” si era respirata questa densa atmosfera di Guerre Stellari, quella vera, quella autentica, quando le battaglie galattiche si filmavano nei parcheggi degli ipermercati. E soprattutto, questo Mandalorian è Star Wars, con cantine affollate e spazi improbabili popolati da mostri di ogni foggia e colore. Il primo episodio di 40 minuti della serie Disney + non è una meraviglia tecnologica o una deviazione totalmente inaspettata dalla storia originale, ma è molto divertente e il personaggio piacerà ai fan che vogliono sia un ladro mascherato che una persona affabile.

Il primo episodio introduce dunque Pedro Pascal che interpreta questo Mandaloriano senza nome. È parco di parole, ma non silenzioso, e motivato principalmente dai soldi di cui ha bisogno per coprire le sue spese. In effetti è un mercenario in piena regola, come lo era stato Han Solo finchè non irruppe nella sua vita un certo Luke Skywalker. Una parte fondamentale del background del personaggio viene rivelata all’inizio: è un orfano e riporta alcuni dei suoi profitti in un’enclave mandaloriana a beneficio di altri orfani. Questa storia avrebbe potuto essere traditrice, ma funziona abbastanza bene nel flusso narrativo dell’episodio e Favreau non fa l’errore di cadere in una vuota retorica disneyana fine a se stessa. Questo tizio si siede proprio sulla linea che divide il bene e il male, e siamo tutti curiosi di vedere se questa caratterizzazione diventerà più profonda oppure se rientrerà in una svolta narrativa calcolata dagli autori.

Il suo primo impegno proviene da un misterioso cliente (Werner Herzog) con legami imperiali che gli commissiona un lavoro adatto per un cacciatore di taglie estremamente abile e determinato. Herzog sputa ogni parola con apodittica imperiosità e si sente che è perfettamente adatto alla scena, quasi fosse da sempre appartenuto al linguaggio di SW. L’enfasi che pone su ogni singola parola sembrerebbe quasi ridurre il suo personaggio al ruolo di una macchietta ma non è così, e anzi questo bislacco vegliardo potrebbe già diventare un classico di Star Wars.

Lo spettacolo che scorre del resto ti rassicura rapidamente che questa è la Star Wars che conosci e ami con l’ambientazione in una cantina ombrosa come lo fu la Cantina di Mos Eisley in Episodio IV (che fastidio chiamarlo così). La prima inquadratura con la baruffa al bar è caratterizzante dell’ambientazione. Le prime poche linee di dialogo sono in huttese, che creano immediatamente la scena e ci proiettano in un’atmosfera a noi ben familiare.

Ci fermiamo qui, per non spoilerare troppo. In trasmissione abbiamo detto ovviamente qualcosa di più ma NON sulla storia bensì sui risvolti intorno a The Mandalorian, sottolineando come la Disney abbia inaugurato mostruosamente il suo canale on demand con la bellezza di dieci milioni di iscritti raggiunti il primo giorno di trasmissioni, qualcosa di pantagruelico raggiunto anche grazie a questa straordinaria serie.

La trasmissione è proseguita con la disamina del film Midsommar che Marco e Federico hanno visto in seconda battuta, ossia all’uscita del Blu-Ray avvenuta proprio in questi giorni. Si evidenziano i notevoli contenuti artistici e tecnici dell’opera di Ari Aster mettendone in luce gli aspetti, se vogliamo sociali, con l’introduzione del concetto di “community movie”, ossia quella tipologia di film girato all’interno di una comunità chiusa e regolata da ferree norme interne, con un’idea spesso già vista ma rielaborata splendidamente da Aster.

Per la rubrica di Checco un film da recuperare si è poi passati al capolavoro di François Truffaut “I 400 colpi”, un’opera che forse più di ogni altra ha caratterizzato il manifestarsi delle memorie del regista francese attraverso la creazione di questo suo alter ego, Antoine Doinel, che poi ha sviluppato in altri film.

Questo e molto altro troverete nella quinta puntata della settima stagione di Viaggio nella Luna il cui podcast trovate cortesemente qui in calce, servito cotto a puntino e pronto per essere da voi gustosamente divorato. Hanno partecipato a questa puntata: Francesco Morosini, Marco Belemmi, Federico Minguzzi e Lorenzo Scappini. Buon Appetito ehm Buon Ascolto.

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