Nella quarta puntata della dodicesima stagione di Viaggio nella Luna si parla del film del momento: The Substance di Coralie Fargeat.

Il film si inserisce nel filone del body horror con un’opera che, pur strizzando l’occhio ai maestri del genere, si distingue per una spiccata originalità e un’incisiva critica sociale. Il film, presentato a Cannes 77, riecheggia le atmosfere claustrofobiche e disturbanti di Kubrick e Cronenberg, ma le rielabora in una chiave moderna e femminista, offrendo un’esperienza visiva e tematica di grande impatto.

Come in Arancia Meccanica e Shining, anche in The Substance la regista costruisce un universo asettico e geometrico, in cui i protagonisti si muovono come pedine in un gioco perverso. L’ambientazione, dominata da colori freddi e spazi claustrofobici, contribuisce a creare un senso di oppressione e alienazione. La regista, come Kubrick, utilizza la macchina da presa in modo voyeuristico, indugiando sui corpi e sulle trasformazioni fisiche, amplificando il senso di disagio e inquietudine.

Tuttavia, a differenza di Kubrick, Fargeat non si limita a osservare la violenza e la degenerazione, ma le contestualizza all’interno di un discorso più ampio sulla società contemporanea e sulle sue ossessioni.

L’influenza di Cronenberg, maestro del body horror, è evidente nelle sequenze più disturbanti del film, in cui la carne si trasforma e si ribella ai confini del corpo. La “sostanza” del titolo, come il “videodrome” di Cronenberg, è un agente mutageno che altera la percezione della realtà e spinge i protagonisti verso una spirale di orrore e follia.

Tuttavia, mentre in Videodrome la mutazione è una metafora della contaminazione mediatica, in “The Substance” assume una valenza più specificamente legata al corpo femminile e alle pressioni sociali che lo plasmano.

The Substance si inserisce a pieno titolo nel nuovo filone del body horror, che negli ultimi anni ha visto opere come Titane e Raw di Julia Decournau esplorare le potenzialità del genere in chiave autoriale e femminista.

Come questi film, The Substance utilizza il corpo come campo di battaglia per raccontare le ansie e le contraddizioni della società contemporanea. La mutazione fisica diventa una metafora della trasformazione interiore, del conflitto tra identità e apparenza, tra desiderio e repressione.

Ciò che distingue The Substance da altri film del genere è la sua capacità di coniugare l’orrore viscerale con una riflessione lucida e tagliente sulla società dello spettacolo e sulla mercificazione del corpo femminile.

Fargeat non si limita a mostrare la violenza, ma la contestualizza all’interno di un sistema che sfrutta e distrugge le donne, costringendole a rincorrere un ideale di bellezza irraggiungibile. Il film è un atto d’accusa contro l’industria dell’intrattenimento, che alimenta l’ossessione per la giovinezza e trasforma le donne in oggetti di consumo.

The Substance è un film complesso e sfaccettato, che si inserisce nel solco della tradizione del body horror, ma al contempo la rinnova con una sensibilità moderna e femminista. Un’opera che conferma il talento di Coralie Fargeat e la sua capacità di utilizzare il linguaggio del genere per affrontare temi scomodi e attuali. Un film che, pur nella sua crudezza, offre uno sguardo lucido e inquietante sulla società in cui viviamo e sulle sue contraddizioni.

Federico invece ci parla di Rebel Ridge di Jeremy Saulnier. Il film è un pugno nello stomaco, un thriller teso e rabbioso che trascende il genere poliziesco per trasformarsi in una feroce critica socio-politica. Jeremy Saulnier, con la maestria visiva già dimostrata in Green Room e Blue Ruin, costruisce un’America rurale marcia fino al midollo, dove la violenza della polizia e la corruzione dilagano senza controllo.

Don Johnson, nei panni dello sceriffo corrotto, è agghiacciante, mentre Aaron Pierre, con la sua interpretazione intensa e fisica, incarna la rabbia di chi è schiacciato da un sistema ingiusto.

Saulnier non offre soluzioni facili, ma ci costringe a guardare in faccia la brutalità del presente, lasciandoci con un senso di disagio e impotenza. Un film necessario, disturbante e potente, che rimarrà impresso a lungo nella memoria.

Checco invece, per un classico da rispolverare, ci parla de Il Giorno della Locusta (1974) di John Schlesinger. L’opera è un affresco grottesco e disperato di Hollywood, un’immersione negli abissi dell’industria cinematografica che divora sogni e speranze.

Attraverso gli occhi di un giovane scenografo, Schlesinger ci trascina in un mondo di illusioni e fallimenti, popolato da personaggi alienati e alla deriva. La fotografia di Conrad Hall dipinge un quadro decadente e allucinato, mentre le musiche di John Barry amplificano il senso di disfacimento e follia.

Un film visionario e disturbante, che svela il lato oscuro della fabbrica dei sogni e ci lascia con un profondo senso di inquietudine. Un capolavoro imperfetto ma potente, che anticipa il cinismo e la disillusione di molte opere contemporanee.

Poi si è parlato di serie TV (The Penguin) e della genesi del personaggio di Batman nella cinematografia. Se volete scoprire tutto, ma proprio tutto, ascoltatevi il podcast qui di seguito.

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