In attesa della venuta del deus ex machina del mixer, ovvero l’ultimamente pluri-impegnato Marco Belemmi, per dirimere spinose questioni subordinate agli slider ed ai mute che Federico a suon di improperi non riesce a risolvere, la 13ma puntata della 10a stagione di Viaggio nella Luna ha comunque inizio.
Durante la battute iniziali, la truppa non manca di tributare un ulteriore saluto a Dario Penne, attore e doppiatore d’eccellenza scomparso pochi giorni fa, ormai da anni voce di Anthony Hopkins, unitamente a Tommy Lee Jones e Michael Caine, giusto per citare altri due attori di indiscusso talento a cui Dario prestò la voce più e più volte.
Sempre parlando di commiati, VnL non poteva esimersi dal salutare anche il mitologico Maurizio Costanzo, che all’interno della sua poliedrica carriera, ha messo piede anche nel mondo della Settima Arte. Tra le varie, fu infatti autore della sceneggiatura di “Una giornata particolare” (1977), indiscusso capolavoro di Ettore Scola con il duo Loren-Mastroianni.

“Magic Johnson” dei Red Hot Chili Peppers, segna la prima cesura musicale della trasmissione, e ci conduce alla visione del Filippi che ha visto per noi “The Whale”, ottava fatica del newyorkese Darren Aronofsky, regista che, a parer nostro, non ha mai sbagliato nulla (no, neanche “Noah” ha sbagliato), oltre che a regalare alla posterità un film come “Madre” che risulta essere, soprattutto a detta di Federico, uno dei migliori film degli ultimi 20 anni.
C’è poco da dire su un film come “The Whale”, un prodotto che a detta di Thomas deve essere esperito a tutti i costi, e non necessariamente raccontato, dove ovviamente un Brendan Fraser in pieno stato di grazia – e in cerca anche di una determinata rivincita – ci regala l’interpretazione della vita nel ruolo di Charlie, un professore universitario di oltre 250 kg che impartisce le sue lezioni esclusivamente online (a telecamera spenta), nella penombra bluastra del suo appartamento. Per Thomas, questo film chiude in un certo qual modo una trilogia ideale dedicata alla dipendenza e al disfacimento che Aronofski aveva iniziato con “Requiem for a dream” (2000), proseguendo con “The Wrestler” nel 2008. In “The Whale” la dipendenza di Charlie è ovviamente quella per il cibo, debordante e compulsiva, e paradossalmente il digiuno di quest’ultimo da ogni tipo di rapporto sociale, che lo porta ad isolarsi sempre più dal mondo intero. Sarà una notizia ferale a risvegliare un moto di redenzione in Charlie, che ad un certo punto cercherà di riallacciare i rapporti con la figlia Ellie, in un film, sempre a detta di Thomas, che sul finale lascia il pubblico ammutolito, immobile e visibilmente commosso.

E siccome le casalinghe disperate lo bramavano ormai da un paio di settimane, torna a furor di popolo il mitologico Checco, che ovviamente rispolvera uno dei suoi imprescindibili classici. Ancora una volta, il nostro prode Accademico torna a bussare alla porta di uno dei suoi registi preferiti, l’irlandese Neil Jordan, e dopo averlo incensato con “In compagnia dei lupi” (1984, opera seconda del regista) ‘sto giro tocca a “Mona Lisa” del 1986, un noir pralinato di gangster che vede protagonista l’ottimo Bob Hoskins nei panni di George, un poco di buono, che appena uscito di galera, viene incaricato dal suo ex capo Denny Mortwell (Michael Caine) di fare da autista/guardia del corpo ad una prostituta d’alto bordo, con lo scopo di ricattare determinati clienti dell’alta società che se la fanno con la suddetta. Naturalmente, col tempo, George si invaghirà della ragazza, ed inevitabilmente i rapporti tra lui e Mortwell verranno compromessi. Nonostante il suo pallido incasso, “Mona Lisa” è un film che ha il merito di aver consacrato definitivamente Hoskins alla Settima Arte, che con questo film si aggiudica Palma d’Oro, Golden Globe e BAFTA come miglior attore protagonista. Verso la fine del suo segmento, il Checco trova il tempo per parlare anche de “La moglie del soldato” (1992), facendo scattare una mini-monografia su Marshall, regista del quale a questo punto non può fare veramente a meno.

Chiude la tredicesima delle decima Federico, che nemmanco fosse la copia ben pasciuta di Crash Bandicoot, salta sulla piattaforma dei Video On Demand, suggerendoci un film estremamente interessante: “The Strays”, di Nathaniel Martello-White, giovane regista di Westminster che con questo film si misura per la prima volta con un lungometraggio. L’impianto del film vede come protagonista Cheryl (Ashley Madekwe), che durante le battute iniziali della pellicola vediamo interagire ansiosamente al telefono, forse con un’amica, per poi scappare poco dopo da un contesto di papabile violenza. E così Cheryl scompare, scompare da Londra lasciandosi qualche strascico dietro di sé che ben presto lo spettatore scoprirà. Dopo questo prologo inizia il film vero e proprio, un prodotto suddiviso in tre capitoli ideali, il primo intitolato “Neve” ed ambientato 5 anni dopo le vicende iniziali del film, dove per l’appunto la protagonista, sotto il falso nome di Neve, si è costruita tutt’altra vita. Ha due figli, un marito che è una pasta d’uomo, e lavora come insegnante in un college in un paesino che odora di quella Pleasantville dove nulla sembra andare storto. Difatti, la quiete di Neve/Cheryl verrà interrotta dall’ingresso di due “spettri” che la nostra non sembra conoscere, o non vuole riconoscere. Ben presto lo spettatore scoprirà che i due personaggi hanno un nome, Abigail e Marvin, e non sono affatto degli spettri, anzi, sono più che tangibili e, ovviamente fanno parte del burrascoso passato di Cheryl, e fungeranno da vettore che ci condurrà al secondo atto del film, intitolato proprio “Abigail e Marvin”, ambientato cinque giorni prima la conclusione della prima parte, dove ulteriori nodi verranno al pettine. L’atto finale, “The Strays” (I randagi), che da il titolo a film, è una conclusione che sfocia all’interno di una serie di archetipi che fanno diventare il film una summa tra “Us” di Jordan Peele (anche se esente da doppelgänger) e quel “Funny Games” di Haneke del ’97, che fece pazziare un po’ tutti quanti, regalandoci un epilogo in grado di lasciare lo spettatore all’interno di un’atmosfera disarmante e decisamente umidiccia. “The Strays” di certo non è un prodotto esente da difetti o ingenuità, ma è un film che fa il suo in maniera più che decorosa e che mette in luce il probabile talento di un regista che certamente deve ancora farsi, ma che forse-ma-forse sarà da tenere d’occhio in futuro.

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