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Recensioni

Anemone

Pubblicato il 2 Ottobre 2025

Ronan Day-Lewis, a 27 anni, è perfettamente consapevole dell’ombra lunga che il cognome paterno proietta sul suo debutto alla regia. “Sapevo del bagaglio che sarebbe stato legato al lavorare con mio padre e anche della pressione che ne sarebbe derivata,” confessa. “Avevo sicuramente qualche ambivalenza. Volevo tracciare la mia strada, e prevedevo come sarebbe potuto essere percepito. C’è stato, giustamente, molto parlare di nepotismo.” Un’affermazione onesta, che smonta subito ogni possibile accusa di nepotismo con la stessa dignità con cui la respinge.

La sua carriera di pittore, con mostre in importanti gallerie di New York e Los Angeles, è la sua armatura, la prova di un talento indipendente che precede e affianca l’ingombrante legame famigliare. E la ragione che lo ha spinto a superare le reticenze è stata semplice e disarmante: “È una cosa cosmicamente fortunata poter lavorare con il proprio genitore in questo modo. Tra dieci anni, mi sarei preso a calci se l’avessi lasciata passare.” È l’opportunità irripetibile, la chiamata che non si può ignorare, la chance di confrontarsi con un gigante sul suo stesso terreno, ma con la propria visione. È la storia di un figlio che accetta la sfida di incorporare nella propria opera prima la sconfinata entità attoriale che risponde al nome di Daniel Day-Lewis, suo padre.

L’idea di esplorare il tema della fratellanza è stata, curiosamente, una proposta di Daniel Day-Lewis stesso. Entrambi gli uomini avevano accarezzato l’idea di un progetto sui fratelli. “L’archetipo della fratellanza e la bellezza e la tragedia di quell’archetipo ci sembrava qualcosa che volevamo esplorare,” rivela Ronan. Da qui, un processo di scrittura durato quattro anni, un lavoro a quattro mani che ha permesso di affinare la sceneggiatura, “spingere i personaggi un po’ più nell’oscurità.” Un’oscurità che, nelle opere di Ronan, sembra richiamare le atmosfere rarefatte e le interrogazioni silenziose di un certo cinema scandinavo, o le tensioni sotterranee del dramma teatrale di Pinter.

Anemone, che uscirà in edizione limitata il 3 ottobre, è descritto come un chamber piece cupo e scarno. La trama vede due fratelli estraniati (Daniel Day-Lewis e Sean Bean) riunirsi per affrontare una crisi famigliare. Ray, il personaggio di Daniel, vive isolato nei boschi, off-the-grid, quando il fratello (Sean Bean, un attore la cui stessa presenza evoca un senso di fatalità) lo rintraccia, cercando disperatamente di convincerlo a tornare alla civiltà. Gran parte del film è silenziosa, con i due fratelli che si girano intorno con circospezione, come animali feriti che studiano l’altro prima di un attacco o di un’improbabile riconciliazione. È il silenzio che parla, il non detto che urla, una cifra stilistica che richiama il cinema di Bergman o le pause cariche di significato del teatro di Beckett.

Ma quando Ray abbassa la guardia, lo fa in un torrente di parole, consegnando monologhi che si preannunciano laceranti, in cui descrive abusi passati ed errori che lo hanno isolato dal mondo. “È una storia sul trattenere informazioni,” spiega Ronan Day-Lewis. “Esce a gocce all’inizio e poi c’è un’esplosione, perché quando piove, diluvia.” Questa metafora della pioggia che diventa torrente di parole, dopo un lungo periodo di siccità emotiva, è il cuore pulsante del dramma. È l’ineluttabilità della verità che emerge, per quanto dolorosa essa sia, un po’ come l’emersione di un trauma represso nella psicanalisi.

Anemone non è solo un film sulla fratellanza, ma anche, inevitabilmente, sul rapporto padre-figlio, sulla trasmissione di un’eredità (artistica e non), e sulla difficile ricerca di una propria voce. Ronan Day-Lewis è un artista che, con coraggio, si misura con la sua eredità, trasformando il peso del cognome in un’opportunità di confronto e di crescita. Il suo cinema, se saprà mantenere l’intensità promessa e la sottigliezza delle dinamiche, potrebbe non essere solo l’ennesimo dramma famigliare, ma una riflessione profonda sulla natura stessa della relazione umana e del processo creativo.

In un’epoca in cui le narrazioni spesso si appiattiscono sulla superficie, un film che osa esplorare le profondità dell’anima, i segreti inconfessabili e la potenza liberatoria (e distruttiva) della parola, è un atto di coraggio. Anemone si preannuncia come un’opera che, pur nella sua intima e contenuta dimensione, ha il potenziale per risuonare con una verità universale. La speranza è che Ronan Day-Lewis, con il suo debutto, non si limiti a raccogliere l’eredità, ma ne forgi una propria, distintiva e vibrante. Il vostro critico, con l’umiltà di chi sa che il cinema è sempre una scoperta, è pronto a lasciarsi travolgere dalla tempesta emotiva di Anemone.

Scheda Film

Voto: 7.0/10 (TMDb)

Regista: Ronan Day-Lewis

Cast: Daniel Day-Lewis, Sean Bean, Samuel Bottomley, Safia Oakley-Green, Samantha Morton

Sceneggiatura: Daniel Day-Lewis, Ronan Day-Lewis

Data di uscita: 03 Ott 2025

Titolo originale: Anemone

Paese di produzione: United Kingdom

Vedi la scheda completa su IMDb →

Scritto da Marco Belemmi

Sono un essere senziente. Mi occupo di varia umanità dall'età di circa due anni. Sono giunto al mezzo secolo di esperienza vissuta su questo Pianeta. Laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla Poetica dell'ultimo Caproni nel 1996. Interessato al cinema dall'età di tre anni e mezzo dopo una sofferta visione dei Tre Caballeros della Disney, opera discussa e aspramente criticata in presenza delle maestre d'asilo. Alla perenne ricerca di un nuovo Buster Keaton che possa riportare luce nelle tenebre e sale nei popcorn.

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