Valeria Bruni Tedeschi, volto segnato dal tempo e dall’arte, incarna Eleonora Duse in un biopic che non è un biopic, un’opera lirica che sfugge alle convenzioni del genere, un fantasma che danza tra i ricordi e le nebbie di un’epoca in dissolvimento. Pietro Marcello, regista di un talento spiazzante e imprevedibile, ci regala con “Duse” un’esperienza cinematografica che si sottrae alle facili semplificazioni, un mosaico di frammenti, un flusso di coscienza visivo che si addentra nel labirinto dell’anima di una diva immortale e, soprattutto, profondamente umana.
La pellicola non si limita a ricostruire la vita di Eleonora Duse, ma ne evoca lo spirito, la sua fragilità, la sua forza titanica. Non c’è una narrazione lineare, ma un’incessante interazione tra presente e passato, tra la Duse anziana, che si confronta con la sua eredità, e la Duse giovane, una presenza quasi onirica che permea il racconto. Bruni Tedeschi è straordinaria, non imita, ma *diventa* Duse: il suo sguardo, la sua postura, la sua stessa voce vibrante incarnano un’anima tormentata da un’intensità rara. Penso a un parallelismo, forse audace, con la Blanche DuBois di “Un tram chiamato desiderio”: entrambe figure femminili monumentali, distrutte dal tempo e dal peso della loro stessa grandezza, che cercano disperatamente di aggrapparsi alla loro dignità in un mondo che cerca di inghiottirle. Ma a differenza di Blanche, Duse trova una forma di redenzione, non nella fuga, ma nel ritorno al palcoscenico, nel suo ultimo, commovente atto di sfida.
Il film è una sinfonia visiva che alterna immagini in bianco e nero, restaurate con la cura maniacale di un archeologo del cinema muto, a sequenze a colori, che rivelano una sorprendente modernità. Questo accostamento stilistico non è un semplice esercizio di stile, ma una scelta profondamente coerente con l’anima del film: la memoria, il ricordo, la fragilità del tempo che passa. Il bianco e nero rappresenta il passato, un’epoca che sembra quasi appartenere a un’altra dimensione; il colore rappresenta il presente, la consapevolezza della fine, ma anche la forza della vita che resiste nonostante tutto. Si pensi al potente contrasto, a tratti surreale, tra le immagini del mondo rurale, della povertà, della guerra e il lusso sfarzoso del teatro, un contrasto che riflette la profonda contraddizione presente nella vita stessa della Duse. L’utilizzo di immagini di repertorio, poi, è semplicemente geniale, una testimonianza del rispetto per la storia e, allo stesso tempo, una metafora della persistenza dell’arte nel tempo. Questa scelta registica mi ricorda in parte il lavoro di Chris Marker in “Sans Soleil”, dove le immagini d’archivio diventano strumenti di riflessione sulla memoria e sull’identità.
La scelta della colonna sonora merita un discorso a parte. Le musiche, talvolta assenti, talvolta sussurrate, talvolta potenti, sono un elemento fondamentale per creare l’atmosfera onirica e malinconica del film. Il silenzio, in particolare, è un personaggio a sé stante, un silenzio carico di significati, che amplifica l’intensità delle scene e sottolinea la solitudine interiore della protagonista. Questo mi ha ricordato il silenzio potente e carico di suspense dei film di Tarkovskij, dove il vuoto non è assenza, ma presenza, un elemento che contribuisce a costruire la potenza evocativa dell’immagine.
La sceneggiatura, curata dallo stesso Marcello con Maurizio Braucci, è un gioiello di scrittura cinematografica. Non si limita a raccontare la vita di Duse, ma esplora la sua complessità psicologica, le sue contraddizioni, i suoi tormenti. La relazione con Gabriele D’Annunzio è trattata con delicatezza, senza cadere nel sensazionalismo. Non è un semplice racconto d’amore, ma un dramma umano, un confronto tra due personalità titaniche, destinate a scontrarsi e a distruggersi. Questo aspetto è particolarmente interessante, perché ci mostra la Duse non solo come una grande attrice, ma come una donna che ha vissuto appieno la propria umanità, con tutte le sue gioie e i suoi dolori.
Fausto Russo Alesi, nei panni di D’Annunzio, è all’altezza della sfida, offrendo un ritratto complesso e sfaccettato di un personaggio altrettanto iconico e controverso. La relazione tra i due non è idealizzata, ma rappresentata nella sua complessità, in tutta la sua carica di passione e devastazione. Le scene che li vedono insieme, piene di tensione, di passione repressa e di disillusione, sono alcune delle più intense del film. Si può notare un’analogia con la complessa relazione artistica e amorosa tra Oscar Wilde e Lord Alfred Douglas, una relazione altrettanto tormentata e destinata a un tragico epilogo.
Infine, la fotografia è semplicemente mozzafiato. Le immagini sono evocative, atmosferiche, cariche di una bellezza struggente. Ogni inquadratura è studiata con cura, ogni dettaglio contribuisce a creare un mondo suggestivo e coinvolgente. La scelta di ricorrere alla “maniera impressionista”, con un’attenzione particolare alla luce e all’atmosfera, conferisce al film una qualità onirica e quasi surreale. Il film si avvicina in questo aspetto alla sensibilità dei pittori impressionisti, capace di catturare l’essenza di un momento fugace, la sua bellezza effimera.
“Duse” è un’opera d’arte complessa, audace, che richiede la partecipazione attiva dello spettatore. È un film che va visto, sentito, assaporato. È un film che rimane impresso nella mente, che continua a vivere anche dopo la fine dei titoli di coda. Un film che, in definitiva, celebra la potenza evocativa del cinema, la sua capacità di trasportare lo spettatore in un altro tempo, in un altro mondo, nel cuore stesso di una leggenda.
Scheda Film
Voto:
Regista: Pietro Marcello
Cast: Valeria Bruni Tedeschi, Fanni Wrochna, Noémie Merlant, Fausto Russo Alesi, Edoardo Sorgente
Sceneggiatura: Letizia Russo, Guido Silei, Pietro Marcello
Data di uscita: 18 Set 2025
Titolo originale: Duse
Paese di produzione: France
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